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Medicina

Differenza tra anemie flogistiche e anemie emolitiche (appunti)

Anemia flogistica

Malattia in cui ci sia Hb ridotta, MCV ridotta, sideremia ridotta, una saturazione della transferrina normale, una ferritina alta. Questa è l’anemia flogistica. L’infiammazione apparentemente riduce il ferro, in realtà lo sequestra. Nelle malattie infiammatorie sia acute che croniche l ‘eritropioesi si riduce a causa delle citochine proinfiammatorie. Lo stesso succede anche nel post-operatorio e la prima cosa a cui si pensa che l’anemia sia dovuta a un’emorragia. Se si ha la prontezza di misurare sideremia (che sarà bassa) e ferritina (alta) si scopre l’anemia infiammatoria.

IL-6 stimola l’epatocita a produrre epcidina che blocca il rilascio di ferro dal macrofago e dall’intestino. Quindi quando abbiamo anemia con ridotta sideremia può essere o flogistica o carenziale (per differenziarlo vediamo la ferritina che sarà aumenta nel primo caso e ridotta nel secondo). Comportamento opposto ce l’ha la trasferrina che si riduce nella flogosi e aumenta nella ferro-carenziale. Il globulo rosso diventa in entrambi i casi microcitico.

ANEMIE EMOLITICHE

La diagnosi prevede anemia, reticolocitosi, bilirubinemia indiretta. Senza queste tre cose è difficile ma non impossibile questa diagnosi. C’è un test specifico: il test di coombs diretto che vede se sul globulo rosso ci sono immunoglobuline. Per scoprirle si usano Ig di animali contro queste Ig umane. Il test di Coombs indiretto vede invece se ci sono Ig circolanti nel plasma.

Il test se positivo mostrerà agglutinazione, se negativo non la mostrerà.

Inoltre dal tipo di Ig che è l’autoanticorpo noi capiamo il tipo di malattia.

Ci sono due malattie con una clinica diversa: abbiamo una clinica per le anemie emolitiche autoimmuni da autoanticorpi caldi che sono delle IgG (caldo attiene a una definizione di laboratorio) e poi quelle con autoanticorpi freddi che sono delle IgM. Queste ultime hanno un’emolisi intravasale, le IgG extravasale perciò possono essere trattate con splenectomia (quelle intravasale no). La terapia cardine è una terapia immunosoppressiva: per gli autoanticorpi caldi la prima scelta è il cortisone alla dose di 1-1,5mg/Kg; se fallisce passiamo alla splenectomia; se anche questo fallisce passiamo all’anticorpo monoclonale anti CD20 (Rituximab). Per la crioagglutinemia abbiamo solamente il rituximab, prima dell’era degli anticorpi monoclonali non c’era niente. Un ultimo concetto: queste malattie possono essere primitive e riguardare solo i globuli rossi o possono complicare una malattia linfoproliferativa ossia una leucemia linfatica cronica oppure un linfoma a basso grado. Questo è molto importante. Ancora una volta una differenza tra anticorpi caldi e freddi perché nella maggior parte delle volte la malattia da autoanticorpi freddi è …..sotto malattia linfomatosa. la malattia con autoanticorpo freddo ci impone una diagnostica più aggressiva per individuare un eventuale clone neoplastico, quella a autoanticorpi caldi invece non è così ma anche queste possono essere secondarie a malattie linfoproliferative, malattie autoimmuni, malattie neoplastiche, sindromi da immunodeficienza. Ma ci sono anche un numero sostanzioso di forme primitive. Nelle forme primarie da autoanticorpi freddi ho messo un punto interrogativo perché alcuni autori non le riconoscono ma affermano che deve sempre essere presente una malattia linfoproliferativa di base, ma questo per la nostra esperienza non è detto (lo riporto per completezza). Il rituximab manda la malattia in regressione ma non la risolve e questa si può ripresentare a distanza di qualche anno.

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Salute

La pedicure e l’igene: controindicazioni e consigli per la pedicure

Fare la pedicure è una cosa che permette di migliorare la propria bellezza e di concedersi un po di tempo per rilassarsi e godersi un minimo la giornata, che spesso è lunga e stressante, interrompendola con un buon motivo: prendersi cura di sé. Per fare la pedicure al meglio però è necessario fare attenzione e curare la propria salute e la propria igene: quando arriva la bella stagione infatti si inziano a scoprire manie e piedi, si usano smalti e si procede a curare le unghie e tutto il resto; il tutto però è accompagnato da un rischio importante, anche se lieve, ovvero quello di infezione.

Le controindicazioni principali della pedicure per la salute

Oltre all’infezione un’altra controindicazione della pedicure può essere quella della rottura delle unghie e di un aumento della loro fragilità se questa è eseguta male; bisogna anche fare attenzione alla differenza tra fare la pedicure a casa e fare la pedicure in centri estetici dove è possibile che venga trasmesso, senza un protocollo adeguato di igene, un infezione o un insieme di funghi. Un consiglio utile per chi deve sottoporsi alla pedicure è quella di comprare gli attrezzi persnali e usare solamente quelli, sia che si parli del kit pedicure elettrico sia che si parli degli accessori tradizionali tipici.

Consigli per la pedicure fatta per la tua salute

Quando viene effettuata la pedicure con l’acetone per togliere lo smalto è importante ricorrere alle creme idratanti per evitare di seccare la pelle e ricordarsi sempre di non staccare le pellicine a freddo ma piuttosto di fare una doccia e di spingere le pellicine quando la pelle dopo la doccia è già bagnata e sicuramente è più elastica. Un altro consiglio che può aiutare a far vivere la pedicure nell’ottica più in linea con la medicina e la salute possibile è quella di usare una base protettiva due volte prima di passare lo smalto; se le vostre unghie hanno dei problemi inoltre per evitare l’aggravarsi della situazione sarebbe meglio non disporre delle unghie finte.

Di solito si procede a fare la pedicure d’estate quindi non ci sono troppi rischi di prendere freddo durante l’inverno, ma nel caso vogliate farla d’inverno siccome il procedimento spesso è lungo è il caso di fare attenzione e mettersi vicini a una fonte di calore se si vuole evitare di indebolire il proprio corpo inutilmente ed esporsi a malattie più facilmente. Per migliorare la salute dei tuoi piedi ed evitare graffi e strappi di troppo consigliamo di immergere per prima cosa i piedi nell’acqua calda: in questo modo prima di fare le pedicure avrete già i piedi pronti e la pelle più elastica possibile.

Hai qualche altro consiglio da lasciarci per migliorare la pedicure e pensare alla salute dei tuoi piedi quando la fai? Quali sono gli inconvenienti principali che si possono avere quando si fa la pedicure? Spiegaci cosa ne pensi tramite i commenti, saremo felici di pubblicarli e di aiutare i lettori a fare al meglio e secondo un ottica di salute e igene la pedicure.

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Psicologia

Jacobson e la formazione dell’io nei bambini (spiegazione psicologia)

Dopo aver postulato lo stato iniziale di indifferenziazione, la Jacobson si accinge a descrivere i processi di sviluppo che portano all’instaurazione di un senso stabile dell’identità, con il concomitante edificarsi della struttura psichica.
E’ consapevole della connotazione duale del concetto di identità che fa riferimento per la sua definizione a elementi di uguaglianza e di differenza.
Nella sua visione, piena di una tensione eccitante, il lettore si trova immerso nella crescente battaglia del bambino per tirar fuori la sua identità dall’iniziale coinvolgimento totale con gli agenti delle cure materne.

La prima fase orale: le prime relazioni con la madre sono portate avanti dal bambino attraverso processi di “introiezione e proiezione” che “si riferiscono a processi psichici, in conseguenza dei quali le immagini di sé assumono caratteristiche di immagini oggettuali e viceversa”, in altre parole sono processi che si collocano nel mondo delle rappresentazioni, nel mondo degli oggetti interni.
Con la maturazione l’Io diventa capace di integrare esperienze di piacere e dispiacere in immagini parziali e primitive di sé e dell’oggetto.
All’arrivo di eventi reali gratificanti o frustranti l’Io maturo resisterà alle fantasie di fusione (esame di realtà). Secondo la Jacobson i periodi di ri-fusione sono accompagnati da un indebolimento dell’esame di realtà, e da un ritorno ad una condizione dell’Io meno differenziata.

La visione dell’oralità ha per la Jacobson, secondo i suoi approci teorici, riguarda 3 aspetti:

Include nella sua sfera tutte le stimolazioni che si verificano nei primi mesi di vita (gratificazioni e frustrazioni);
I bisogni orali del bambino creano un veicolo con la madre che ha la funzione di far incontrare i due;
Modifica il concetto di pulsione in modo tale che diventi un principio organizzativo tramite il quale il bambino può ordinare l’intera gamma delle esperienze (piacevoli e spiacevoli) con le persone che lo accudiscono.
Esperienze di gratificazione danno origine a fantasie di fusione, idee di incorporazione totale, e sono il fondamento di tutte le successive relazioni oggettuali.
Esperienze di frustrazione portano al desiderio di espellere, di separare.

La Jacobson tratta molto estesamente le prime transazioni tra madre e figlio.
Difatti è lei stessa consapevole degli effetti multiformi e simultanei che l’attenzione della madre ha sul bambino:

“gli atteggiamenti e le attività materne, che forniscono al bambino gratificazioni e restrizioni libidiche, e spianano la via ai suoi attaccamenti affettivi, nello stesso tempo spingono la madre ad interessarsi all’io esterno del figlio e ne garantiscono la sopravvivenza”

“ma gli stessi atteggiamenti e attività stimolano e promuovono la sua crescita fisica e la crescita mentale del suo Io, e molto presto cominciano a trasmettere al bambino il principio di realtà e i primi codici morali”

All’inizio del secondo anno di vita: emergono    2 capacità dell’Io che esercitano una funzione decisiva nel movimento del bambino verso la formazione dell’identità.

Capacità di distinguere caratteristiche specifiche dell’oggetto d’amore;

Comparsa della consapevolezza della categoria temporale del futuro.

All’inizio del secondo anno di vita:
Capacità di distinguere caratteristiche specifiche dell’oggetto d’amore;
Sviluppa ambivalenza e processi competitivi, nonché la liberazione dell’aggressività che promuove i processi di separazione.
Gli atteggiamenti genitoriali (soprattutto della madre), sono cruciali poiché un eccesso di gratificazione o frustrazione esporrebbe al rischio di ri-fusione, sebbene in condizioni favorevoli voler essere come l’oggetto completa e gradualmente sostituisce la tendenza alla ri-fusione.
Il bambino diventa capace di distinguere le proprie immagini realistiche da quelle desiderate del sé, una distinzione rafforzata dalla competizione con i pari e con il padre.
Anche la scoperta delle differenze tra i sessi contribuisce alla formazione dell’identità con l’idea di appartenenza ad uno specifico genere sessuale.

(Appunti condivisi università psicologia).

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Medicina

Sindrome di Raynaud: riassunto e caratteristiche generali (medicina)

Le cosiddette mani fredde sono dovute, nella maggior parte dei casi, a un disturbo circolatorio che coinvolge i piccoli vasi sanguigni delle dita, chiamato fenomeno di Raynaud. È caratterizzato da improwise crisi di pallore e cianosi delle dita, che si traducono in un mutamento di colore delle estremità. Generalmente i fattori scatenanti sono rappresentati dall’esposizione al freddo o agli stress emotivi. Il fenomeno di Raynaud è articolato in tre fasi: nel primo stadio, ischemico, si assiste alla comparsa del pallore (”dita bianche”), con un senso d’intorpidimento; segue una fase cianotica, in cui le dita diventano bluastre; infine, nella terza fase, denominata iperemica, le estremità acquistano un colore rossastro. Solitamente questa manifestazione è bilaterale e non genera conseguenze; nelle forme legate ad altre patologie, il disturbo può determinare la comparsa di ulcere e cicatrici ai polpastrelli. La maggior parte di chi soffre del fenomeno di Raynaud sviluppa questo problema senza che vi sia una malattia sottostante: in questo caso si parla di malattia di Raynaud. Altre volte gli episodi di pallore e cianosi delle dita si manifestano sullo sfondo di altre condizioni patologiche (come la sclerodermìa, il lupus eritematoso sistemica e l’artrite reumatoide). ll fenomeno di Raynaud è spesso un disturbo professionale quando l’individuo è esposto agli stress vibratori. Si parla in tal caso di ”sindrome del dito bianco da vibrazione”, una patologia che compare generalmente dopo molti anni di microtraumi vibratori indotti dagli strumenti di lavoro (come i martelli pneumatici). I cambiamenti del colore cutaneo sono legati alle variazioni di calibro subite dai piccoli vasi arteriosi delle dita: l’iniziale, intensa vasocostrizione delle arterie produce una riduzione dell’afflusso di sangue con conseguente comparsa di pallore e cianosi; il rossore, che affiora dopo la crisi, è invece dovuto alla dilatazione vascolare.

Per evitare il freddo indossare guanti : vestirsi in maniera appropiata quando si esce al freddo è la prima procedura utile. In estate è bene evitare gli ambienti con aria condizionata troppo fredda. Durante l’attacco, mettere le mani sotto il getto di acqua calda o fare ruotare le braccia per fare affluire più sangue.

Aumentare il flusso del sangue Lo stress peggiora la malattia di Raynaud: adottare tecniche di rilassamento e respirazione. La nicotina, i farmaci usati contro il raffreddore e pillole prescritte durante le diete dimagranti e l’efedrina dovrebbero essere usati con molta cautela. Evitare il fumo è particolarmente importa…te per chi soffre di malattia di Raynaud.
Farmaci: Vengono prescritti i bloccanti dei canali del calcio, di solito la nifedipina.

La nitroglicerina è stata a volte usata a livello topico per dilatare ivasi sanguigni.

Chirurgia

Un intervento chirurgico chiamato simpaticectomia locale digitale serve per i casi più severi: si interrompono i nervi che vanno alle zone interessate per bloccare l’innervazione intorno ai vasi sanguigni.

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Medicina

Rimedi per la disfagia secondo la medicina e la omeopatia

La disfagia è il termine tecnico per definire un’alterata deglutizione. Si riconoscono fondamentalmente 2 forme principali di disfagie: in quella cosiddetta oro-faringea si fa fatica a trasferire volontariamente il cibo dalla cavità della bocca nell’esofago. Le cause? Processi infiammatori della cavità orale della faringe ma anche affezioni neurologiche (come ii morbo di Parkinson ola distrofia muscolare). La disfagia esofagea è invece la forma senz’altro più comune: si avverte una sensazione di blocco, come se il cibo si arrestasse in corrispondenza della sterno, un disagio che si risolve solo quando, insistendo nel deglutire con l’aiuto di un sorso d’acqua, il cibo raggiunge finalmente lo stomaco (oppure, se cosi non e quando viene rigurgitato all’esterno).

Cause della disfagia in medicina

Le cause della disfagia sono svariate: un restringimento del tubo esofageo (stenosi) causato da un infiammazione cronica dell’organo (conseguente in genere al reflusso di succo acido dallo stomaco); alterazioni dell’innervazione (come gli spasmi esofagei diffusi); le formazioni tumorali; la presenza di un diverticolo in corrispondenza della faringe e l’esofago che, riempiendosi con parte del cibo inghiottito, finisce per causare un difficoltoso transito degli alimenti (ma anche alito cattivo, rigurgiti e tosse). La diagnosi può contare su svariati esami strumentali, come l’esame radiologico del tratto superiore del tubo digerente o l’esofagogastroduodenoscopia, Altri esami che potranno essere richiesti dal curante possono essere: la Tac del torace, l’esame attuato con radioisotopi, ia pH-metria (si legge ”piacca-metria”) con il quale si misura il livello di acidità, e la mamometria esofagea, che misura il tono dello sfintere esofageo inferiore.

Rimane molto Importante trovare la causa della disfagia: princ1palmente Si tratta dl cause organiche, ma in alcuni casi il motivo è psicologico. Il trattamento è conseguente all’accertamento della causa. La visita medica è molto utile per capire se la disfagia sia solo per i cibi solidi, liquidi o per entrambi e per prescrivere gli eventuali approfondimenti. O Alimentazione Bisogna prevenire la disidratazione e la malnutrizione. L’alimentazione in caso di disfagia dovrebbe essere basata solo su cibi che possono essere masticati e deglutiti senza pericolo.

La dieta da seguire in caso di Disfagia

La dieta dovrebbe avere una consistenza cremosa, evitando cibi appiccicosi che aderiscono al palato e creano affaticamento, ed evitando cibi frammentati in piccoli pezzi che si disperdono in bocca e aumentano la possibilità di soffocamento. Nei casi gravi gli alimenti liquidi non sono indicati perché possono defluire nell’area faringea spontaneamente, senza che venga stimolato il riflesso della deglutizione, quindi entrare nelle vie respiratorie: per evitare ciò gli alimenti possono essere resi densi utilizzando sostanze addensanti. In base al grado di disfagia, possono essere controindicati alimenti con doppia consistenza come: latte coi cereali, passato di verdura con pastina, yogurt con pezzi di frutta. O Terapia fisica La disfagia può essere migliorata e a volte risolta con accorgimenti iìsici (e di postura) e fisioterapia. È importante avere una buona regolarità nell’assunzione di cibo e imparare a mantenere la stazione eretta (busto e gola dritti) anche da seduti. O Farmaci È importante sapere che alcuni farmaci antiepilettici e contro l’insonnia possono compromettere la deglutizione. I farmaci da usare in caso di disfagia dipendono molto dalla causa della disfagia stessa: per questa ragione è opportuno consultare un medico e avere una diagnosi precisa prima di effettuare terapie.

La Chirurgia: a volte la disfagia può essere risolta solo con un intervento chirurgicoz per questa ragione è indispensabile il consulto medico.

Estratto dal libro “2000 rimedi per 200 disturbi”

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Psicologia

Disturbo Borderline: Storie Cliniche

Sono presentati in questo capitolo una sintesi di due casi clinici, il primo di un Ser.T. e il secondo di una Comunità Terapeutica. I casi sono stati selezionati dagli operatori in base alla loro pertinenza con l’argomento della ricerca.

Sono riportate in seguito all’esposizione di ciascun caso clinico anche delle
riflessioni personali.

Il Caso Borderline di Laura

Laura (il nome è di fantasia) è una ragazza di 26 anni ed è nata dal secondo matrimonio del padre con una ragazza dell’est. Dal precedente matrimonio il padre aveva avuto altri due figli, ovviamente, più grandi della ragazza.

La crescita di Laura nei suoi primi 18 anni si è rilevata regolare, a scuola andava bene e aveva dimostrato un’intelligenza sopra la media.

Nel momento in cui si iscrive all’università Laura conosce un ragazzo e se ne innamora.

Il ragazzo usa cocaina, inizialmente Laura sottovaluta questo problema e comincia a vivere e tollerare la presenza della sostanza nella sua vita, fino a considerare la possibilità di farne uso.

Fino a quel momento Laura aveva fatto ricorso a marijuana solo in presenza di amici, quindi in forma del tutto rituale.

La ragazza inizia ad utilizzare cocaina, la sostanza le “piace” e le accentua un po’ una sua tendenza, già esistente, di maniacalità. Laura si sente sempre più forte e sicura.

La situazione familiare della ragazza è abbastanza complessa, il padre è spesso poco presente e oscurato dalla figura della madre, che a sua volta vive in competizione con la bellezza della figlia. I fratelli usano a loro volta cocaina e la spacciano.

La situazione di Laura precipita nel momento in cui il suo ragazzo la abbandona.

Laura non riesce ad accettare quanto le è capitato, cade in una profonda crisi e inizia ad inveire contro il mondo e sé stessa aumentando l’uso di cocaina.

A questo punto la sostanza non viene più utilizzata saltuariamente, ma come forma di autoterapia.

La precedente sicurezza della ragazza si dimostra essere solo una facciata. Un giorno, in preda ad una crisi furiosa, viene ricoverata nel reparto psichiatrico e le viene diagnosticata la presenza di un BPD e abuso di cocaina.

La ragazza esce dopo un po’ di tempo dalla struttura e tenta in svariati modi di ripristinare la situazione come era prima della crisi, tentando ad esempio di riprendere in più occasioni la carriera universitaria.

Laura per un certo periodo è seguita dagli operatori del Ser.T. e del Dipartimento di Salute Mentale, le due strutture collaborano per stabilizzare il quadro clinico della ragazza.

Nei successivi quattro anni la storia di Laura è caratterizzata da ricadute nell’alcol, nella cocaina e abbandoni dei centri residenziali.
Ad oggi la condizione psichiatrica della ragazza si è aggravata, mentre si è per lo più risolta quella dell’abuso di sostanze. Laura non frequenta più il Ser.T. ed è presa in carico esclusivamente dal Dipartimento di Salute Mentale, non sono quindi più reperibili da parte del Ser.T. informazioni sullo stato di salute di Laura.

Considerazioni sul Caso Laura

Il disturbo della ragazza insorge nella prima età adulta, intorno ai 19 anni, come i dati epidemiologici spesso confermano (American Psychiatric Association, 2001; Baranello, 2003; Beers & Berkow, 1999; Davison & Neale, 2004; Fossi & Pallanti, 1998; Lieb et al., 2004; Torgersen et al., 2001; Widiger & Weissman, 1991).

Laura prima della crisi si sentiva forte, seduttiva, anche prima dell’utilizzo di cocaina, la sostanza non fa che esaltare questa sensazione. Liotti (2001) ritiene che un atteggiamento di tipo seduttivo-sessuale sia frequente nel BPD, in particolare questo viene utilizzato per scalzare il caos delle esperienze emotive intense.

La situazione familiare della ragazza è altamente destrutturata e rispecchia un po’ quello che la letteratura in genere riporta: il padre sempre assente e marginale, la madre in competizione con la bellezza della figlia e i fratelli spacciatori e consumatori a loro volta di cocaina (American Psychiatric Association, 2001; Caviglia et al., 2007; Correale et al., 2001; Paris et al., 1994a, 1994b; Taylor, 2005; Zanarini et al., 1997).

L’abbandono del fidanzato è quello che fa scatenare la prima crisi di Laura
rilevando un’estrema vulnerabilità all’abbandono e alla perdita (Correale et al., 2001; Kernberg, 1975; Linehan, 1993a, 1993b; Liotti, 2001). Pazienti con BPD infatti, a causa del loro attaccamento disorganizzato, di fronte a queste situazioni reagiscono con risposte francamente patologiche (Liotti, 2001).

La sostanza diventa per Laura una forma di autoterapia, le serve psicologicamente per affrontare il quotidiano ed andare avanti.
La storia successiva di Laura continua con crisi violente, ricoveri, polidipendenza, ricadute e drop out (American Psychiatric Association, 2001; Budman et al., 1996; Caviglia et al., 2007; Chiesa et al., 2000; Fioritti & Solomon, 2002; Haro et al., 2004; Links et al., 1995; Linehan, 1993a, 1993b,1999; Madeddu et al., 2005; Martinez-Raga et al., 2002; Senis, 2005; Skinstad & Swain, 2001; Skodol et al., 1999; Thomas et al., 1999; Verheul, 2001; Verheul et al., 1998).

La presa in carico di Laura si svolge in apparenza in parallelo tra Dipartimento di Salute Mentale e Ser.T., in realtà è presente sin dall’inizio una forte suddivisione di competenze tra le due strutture: la prima si occupa dalla parte psichiatrica, la seconda di quella tossicologica. Quando Laura interrompe l’utilizzo di sostanze e la sua condizione psichiatrica si aggrava, il Ser.T. non ha più titolo nel caso della ragazza, passato alle competenze esclusive del Dipartimento di Salute Mentale.

Questi dati non trovano riscontro in letteratura (Cimillo et al., 2005; Fioritti & Solomon, 2002; Manzato & Fea, 2004; Osservatorio delle Droghe e delle Tossicodipendenze, 2004).

Il Caso Borderline di Franca

Franca (il nome anche in questo caso è di fantasia) è una donna di 43 anni e da qualche mese ha concluso il suo percorso presso una Comunità Terapeutica.

L’infanzia di Franca è molto travagliata: il padre alcolista era molto violento e picchiava lei e i suoi fratelli, i quali a loro volta scaricavano la loro aggressività sulla sorella. Queste esperienze fanno crescere Franca come una bambina molto paurosa, sfiduciata e chiusa. L’unica figura di riferimento è la madre, anche lei vittima delle angherie del marito.

Sin da piccola Franca utilizza come modalità difensiva il ritiro e la somatizzazione, per cui soffre di forti mal di testa e paresi facciale.

Inizia a quattordici anni ad utilizzare hashish, cocaina, alcol e sonniferi, come automedicazione. Anche i fratelli utilizzano sostanze, ma solo lei viene additata in modo negativo dalla famiglia.

A diciannove anni si innamora, ma dopo un abbandono improvviso del partner cade in una fase di anoressia e comincia ad utilizzare eroina.
Entra a venticinque anni in una Comunità Terapeutica, tuttavia abbandona il percorso prima che si concluda , nonostante ciò una volta uscita non fa più uso di sostanze.

All’uscita dal programma terapeutico conosce un ragazzo, se ne innamora e hanno un figlio.

Franca presenta diversi problemi durante il parto, tanto che sia lei che il bambino sono separati e messi in rianimazione. Franca per molto tempo non ha notizie del figlio e crede che sia morto, fino a quando sotto pressione della nonna, Franca riesce a vedere che sta bene. Questa esperienza traumatica si accompagna a frequenti liti con il partner che inizia ad abusare di lei sessualmente.

Entrambi cadono di nuovo nell’alcol.

Franca torna al Ser.T. e chiede personalmente l’ingresso presso una Comunità Terapeutica. Quando arriva in Comunità la diagnosi psichiatrica di Franca parla di dissociazione, dispercezione, stato misto, tratti di personalità borderline e abuso di sostanze. L’operatore intervistato tende a sottolineare che la Comunità generalmente non si occupa di casi così gravi, tuttavia a volte sono fatte delle eccezioni, soprattutto se il numero dei degenti è poco e il personale può dedicarsi in modo più approfondito ad una persona.

Una volta che Franca entra in Comunità inizia il suo programma terapeutico, la donna segue una terapia farmacologia, individuale e di gruppo. In questo ultimo caso gli incontri vengono fatti gradualmente, poiché gli operatori non ritengono
Franca ancora abbastanza forte da sostenere dei confronti con gli altri membri.

Le sono affiancate diverse figure professionali tra cui due psichiatri, uno interno alla struttura, che può monitorare quotidianamente la ragazza, e uno esterno, in previsione dell’uscita dalla Comunità, e due psicologi, anche in questo caso uno interno e uno esterno, per continuare a monitorare Franca al termine del percorso in Comunità. L’equipe interna alla Comunità si incontra settimanalmente per discutere di vari casi tra cui quello di Franca, l’equipe costruita appositamente per il caso si incontra invece una volta al mese.

Viene istituito anche un percorso psicologico per il figlio con lo scopo di
riallacciare i rapporti con la madre.

Invece dei soliti due anni il percorso di Franca ha una durata di quattro anni.

Attualmente Franca ha concluso il suo percorso, continua ad essere seguita dallo psichiatra del Dipartimento di Salute Mentale e dalla psicologa esterna, come previsto dal programma.

La Comunità Terapeutica benché non abbia più in carico la donna viene
comunque periodicamente informata sul percorso che tuttora sta svolgendo all’esterno.

I rapporti con il figlio sono molto migliorati.

Considerazioni sul Caso Franca

La famiglia di Franca è una famiglia molto problematica. La ragazza vive sin da piccola in una casa violenta che le insegna ad avere paura. La ragazza impara a difendersi ritirandosi in sé stessa e somatizzando quanto le accade.

Sono inoltre presenti in famiglia trascorsi di abuso di sostanze tra i membri (American Psychiatric Association, 2001; Caviglia et al., 2007; Correale et al., 2001; Paris et al., 1994a, 1994b; Taylor, 2005; Zanarini et al., 1997).

La prima crisi della ragazza è rinvenuta da giovane in seguito all’abbandono del partner, fino ad allora aveva già fatto uso di diverse sostanze (Correale et al., 2001; Kernberg, 1975; Linehan, 1993a, 1993b; Liotti, 2001).

Nel suo primo ingresso in Comunità la patologia psichiatrica non le viene
riconosciuta e dopo un po’ di tempo abbandona il programma terapeutico senza portarlo a conclusione.

La seconda volta che entra in comunità Franca ormai è una donna e una madre, la diagnosi psichiatrica riporta una complessa situazione in cui si avvisano dispercezioni, dissociazione, stato misto, tratti borderline di personalità.

In previsione del lungo tempo di cura di Franca sono attivate una serie di figure anche esterne alla Comunità, queste hanno lo scopo di seguire la paziente sia durante il percorso nella struttura che all’esterno, una volta che questo si sarà concluso. La Comunità organizza un vero e proprio lavoro di rete attorno alla paziente. L’equipe si ritrova inoltre una volta al mese per discutere del caso.

Tra le attività che sono svolte sono presenti trattamento individuale, farmacologico e di gruppo. In questo caso il lavoro di gruppo viene inserito gradualmente nel percorso di Franca perché considerato inizialmente troppo difficile da sostenere.

Dopo quattro anni nella Comunità Franca esce dalla struttura, non viene comunque lasciata sola all’improvviso, ma continua il lavoro sia psichiatrico che psicologico. Nonostante la Comunità non abbia più in carico la paziente viene periodicamente informata sul lavoro che sta svolgendo all’esterno.

Il lavoro in questo caso svolto dalla Comunità Terapeutica è da considerare
certamente un percorso individualizzato e integrato (Cimillo et al., 2005; Fioritti & Solomon, 2002; Manzato & Fea, 2004; Osservatorio delle Droghe e delle Tossicodipendenze, 2004).

 

 

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Psicologia

Disturbo Borderline E Disturbi Correlati All’uso Di Sostanze: Dual Focus Schema Therapy

La “Dual Focus Schema Therapy” (DFST) nasce in ambito cognitivo
comportamentale e viene proposta da Ball (Ball, 1998; Ball, Richardson,
Connolly, Bujosa & O’Neall, 2005).

La terapia parte dell’assunto che i disturbi di personalità nascono da
un’interazione tra fattori biologici e ambiente fallimentare: entrambi portano a reazioni emotive intense, credenze negative di sé e degli altri, uso di sostanze e altri meccanismi di coping disadattivi.

Ball (1998) ritiene che questa tipologia di pazienti necessita di obiettivi realistici, come un miglioramento nella qualità della vita e una riduzione dei sintomi, e di un trattamento a medio termine (il trattamento dura 24 settimane).

Fondamentale è che l’intervento sia rivolto alla risoluzione di entrambi i quadri patologici, intervenire in questa direzione può infatti portare a grandi cambiamenti nella catena degli eventi che hanno portato al perpetuarsi dei due disturbi. Questa prospettiva è legata al fatto che diversi comportamenti disadattivi possono essere racchiusi in un solo schema, dunque l’intervento sull’uso di sostanze può avere effetti significativi verso altri comportamenti.

La DFST ha due fasi principali:

  1. La prima integra il trattamento di prevenzione delle ricadute con un’identificazione e analisi degli schemi disadattivi e strategie di coping. Lo scopo è comprendere la loro associazione con l’uso di sostanze e altre
    problematiche;
  2. La seconda modifica gli schemi disadattivi.

Inizialmente il terapeuta comincia con una discussione dei problemi presentati dal paziente e in particolare come questi sono legati all’uso di sostanze. L’obiettivo è quello di raggiungere una sostanziale riduzione dell’uso di sostanze e stabilire un’alleanza di lavoro.

La prevenzione delle ricadute consiste in un’individuazione dei fattori precipitanti che portano la persona ad assumere sostanze, nell’apprendere abilità per affrontare situazioni a rischio e pressioni sociali e infine nello sviluppare nuove attività.

Una volta che il terapeuta ha raggiunto una conoscenza sufficientemente
approfondita del paziente può utilizzare diverse tecniche terapeutiche per ridurre l’incorrere nell’abuso di sostanze e in altri problemi.

La modificazione degli schemi avviene con l’utilizzo di diverse strategie (Ball, 1998):

  1. Cognitiva, dove viene analizzata la reale utilità ed efficacia degli schemi
    disadattivi e viene analizzato l’abuso di sostanze come strategia di coping
    evitante;
  2. Esperenziale, qui sono utilizzati strumenti come roleplaying,
    immaginazione e studio delle origini degli schemi disfunzionali;
  3. Comportamentale, dove avviene un’identificazione dei cambiamenti occorsi nella vita e nell’ambiente e un apprendimento di abilità
    comportamentale e sociali;
  4. Relazione terapeutica, dove avviene un confronto tra schemi e strategie di coping.

 

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Disturbo Borderline E Disturbi Correlati All’uso Di Sostanze: Farmacoterapia

Il trattamento farmacologico per pazienti con BPD e SUDS richiede alcuni
indicazioni specifiche fondamentali per la gestione terapeutica.

Alcuni autori infatti (Weiss & Najavitis, 1994) sono riluttanti a prescrivere
farmaci a pazienti con DD per le seguenti ragioni:

  1. Timore di interazioni tossiche tra farmaci e sostanze;
  2. Timore di migliorare la condizione del paziente, facendo in tal modo
    diminuire la sua motivazione a smettere di usarle;
  3. Timore di essere manipolato dal paziente.

Tuttavia alcuni autori (American Psychiatric Association, 2001; Fioritti &
Solomon, 2002; Lieb et al., 2004; Manzato & Fea, 2004; Milesi et al., 2003)
ribadiscono l’importanza che questo tipo di trattamento può avere e ritengono sia sufficiente attenersi ad una serie di regole per evitare di correre rischi:

  1. L’indicazione all’uso del farmaco dovrebbe essere chiara e precisa,
    evitando prescrizioni dettate dalla disperazione terapeutica;
  2. Considerare il potenziale di abuso, pazienti con DD possono abusare di
    sostanze che non sono ritenuti farmaci di abuso;
  3. I pazienti vanno informati dei potenziali pericoli di interazione tra farmaci
    e abuso di sostanze.

Trattamento combinato farmacologico e psicoterapeutico

L’uso degli psicofarmaci in associazione con la psicoterapia, come pratica clinica molto comune e in rapida espansione, è un aspetto della complessità presente nel trattamento riabilitativo integrato, che necessita di una gestione corretta per migliorare la qualità e l’efficacia del trattamento riabilitativo.

Questa tecnica terapeutica combinata, definita “psicoterapia ad orientamento farmacoterapeutico”, è basata sull’evidenza che il trattamento farmacologico aiuta a ridurre l’irritazione, l’ostilità e l’aggressività e migliora la comunicazione, le relazioni interpersonali e la partecipazione al processo psicoterapeutico, mentre la psicoterapia aiuta il paziente ad accettare lo psicofarmaco.

Nel caso di un disturbo da uso di sostanze psicoattive, di un BPD o di un rischio suicidario, il trattamento con psicofarmaci è essenziale (Manzato & Fea, 2004).

A tale proposito alcuni autori (American Psychiatric Association, 2001; Maggini & Pintus, 1996) ritengono che la combinazione tra farmacoterapia e psicoterapia, sia particolarmente utile quando il BPD si trova in associazione con disturbi
dell’Asse I.

Nella psicoterapia di gruppo l’uso associato di psicofarmaci si è rilevato di fondamentale importanza, in particolare questi possono ridurre il ritiro, l’isolamento, l’evitamento ed altri sintomi psicopatologici che interferiscono con le relazioni interpersonali e sociali e che sono fondamentali per la coesione,l’apprendimento interpersonale, l’attivazione della speranza e per altri fattori terapeutici propri della psicoterapia di gruppo (Manzato & Fea, 2004).

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Disturbo Borderline E Disturbi Correlati All’uso Di Sostanze: Psicoterapia Individuale e di Gruppo

Psicoterapia Individuale

Alcuni autori concordano che una forma di psicoterapia sia fondamentale nelle varie parti del processo terapeutico, anche se non c’è accordo su quali forme di psicoterapia adottare.

Indipendentemente dall’approccio teorico-clinico di riferimento, ciò di cui questi pazienti sembrano avere bisogno è un giusto equilibrio tra sostegno e conforto per quello che si prospetta come un percorso non lineare e spesso punteggiato da ricadute.

Importante sembra infine la necessità di un trattamento individuale sin dalle prime fasi della presa in carico del paziente (Fioritti & Solomon, 2002; Milesi et al., 2003).

Psicoterapia di gruppo

Diverse tipologie di terapia di gruppo possono essere praticate come parte del programma di trattamento di pazienti con BPD e SUDS, in genere come
importante lavoro integrativo delle terapie individuali. Molti obiettivi tra i due percorsi sono infatti condivisi, come la stabilizzazione del paziente, il controllo dell’impulsività e delle reazioni di transfert e controtransfert (American Psychiatric Association, 2001; Milesi et al., 2003).

Nel lavoro di gruppo, l’attenzione viene generalmente posta sul sentimento predominante che caratterizza l’incontro; in questo modo sensazioni di risentimento (verso un nuovo membro), invidia, rifiuto o perdita (per esempio verso il terapeuta) vengono espressi ed esaminati (Stone, 2005).

Particolarmente utile sembra anche la partecipazione a gruppi di auto aiuto, come gli Alcolisti Anonimi (American Psychiatric Association, 2001; Milesi et al., 2003; Stone, 2005).

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Disturbo Borderline E Disturbi Correlati All’uso Di Sostanze: Prevenzione delle ricadute

Il trattamento di prevenzione delle ricadute è un insieme di tecniche cognitivocomportamentali volte a sviluppare una conoscenza approfondita dei meccanismi mentali e comportamentali che precedono e causano le ricadute, al fine di potenziare l’autocontrollo.

Sul piano cognitivo vengono analizzati i meccanismi psicologici
dell’ambivalenza, le situazioni ad alto rischio e i meccanismi mentali che portano a decisioni apparentemente irrilevanti, ma che precedono la ricaduta.

Sul piano comportamentale vengono sviluppate nuove modalità per gestire queste situazioni; vengono inoltre stabiliti un sistema di sostegno, una strutturazione del quotidiano e rituali alternativi adeguatamente rinforzati (Fioritti & Solomon, 2002).