Nonostante il suo riconoscimento come malattia mentale da parte della psicologia e della psichiatria, il gioco d’azzardo continua a rappresentare un passatempo, al massimo un “vizio” per una discreta fetta di popolazione. Ma il fatto più grave è che i giocatori stessi non si rendono conto della gravità del loro problema fino a che non cadono in rovina economica. In tutti i tipi di dipendenza non è facile per il soggetto riconoscere la propria condizione e chiedere aiuto, ma nel caso del gioco d’azzardo è ancora più difficile. L’accettazione del gioco come fenomeno socialmente condiviso occulta la gravità che questo fenomeno assume per molte persone, giungendo a distruggere la loro esistenza. Inoltre il giocatore, anche quando decide di farsi aiutare, lo fa per risolvere i suoi problemi economici, non perché riconoscere di aver sviluppato una dipendenza. Qualsiasi tipo di trattamento prende le mosse da questo momento di riflessione, in cui il soggetto prende coscienza della vera natura del proprio problema e si impegna nel cambiamento.
Così come si possono usare varie griglie di lettura per interpretare il gioco d’azzardo, esistono anche vari approcci al trattamento.
Un esempio è dato dalla teoria cognitiva, la quale individua nei processi cognitivi i fattori determinanti nello sviluppo e nel mantenimento dei problemi di gioco. Come descritto nel precedente capitolo, il giocatore sviluppa una sorta di “pensiero magico”, attraverso il quale interpreta gli eventi e si illude di poter controllare il caso, nella convinzione di essere capace di predire i risultati del gioco. Il trattamento secondo questo modello psicologico si fonda pertanto sulla correzione di queste percezioni erronee, cercando di ristabilire nel soggetto il giusto concetto di ”azzardo”, nella convinzione che la motivazione a giocare scenda di conseguenza.
Walters (1994) pianifica un programma terapeutico basato sulla riprogettazione dello stile di vita del soggetto: prima di tutto si sviluppa la motivazione al cambiamento, dopodiché si costruiscono gli strumenti per il cambiamento ed infine si cerca di realizzare uno stile di vita alternativo che valorizzi interessi più adeguati e che funzioni da rinforzo in modo da poter abbandonare il gioco d’azzardo.
Esaminando la realtà Italiana, osserviamo che le opportunità di trattamento per la dipendenza da gioco sono ancora scarse, tant’è vero che il fenomeno viene ancora trattato nei Sert insieme alle altre dipendenze.
L’unica associazione che si occupa specificamente del gioco d’azzardo patologico è la S.I.I.Pa.C, Società Italiana di Intervento sulle Patologie Compulsive, fondata a Bolzano dal Dott. Cesare Guerreschi. Occupandosi del recupero degli alcolisti negli anni ’70, Guerreschi si rese conto che molti di loro presentavano anche una dipendenza da gioco, cosi’ iniziò a studiare la correlazione tra i due fenomeni e nacque il suo interesse per i giocatori patologici
La S.I.I.Pa.C.
La S.I.I.Pa.C è uno associazione no-profit nel senso che non dipende dallo Stato, non opera a scopo di lucro e le entrate vengono impiegate per l’autofinanziamento. La S.I.I.Pa.C. è l’unica ad offrire in Italia una comunità di recupero residenziale per i giocatori d’azzardo, così come avviene per i tossicodipendenti. Il programma terapeutico prende in carico il soggetto sotto tutti gli aspetti, partendo dal presupposto che la dipendenza da gioco non si è instaurata per caso, ma è il risultato di una sofferenza che apparteneva al soggetto anche prima del suo incontro con il gioco. L’approccio su cui ci si basa è infatti quello sistemico-relazionale, che interpreta la dipendenza come un disagio derivante da una disfunzione nel sistema familiare, in cui tutti i rapporti devono essere analizzati e devono essere ristabiliti i ruoli all’interno dei diversi piani generazionali. Per questo anche la famiglia del giocatore viene coinvolta nel processo di cambiamento del giocatore, il quale compirà un cammino di crescita interiore e di presa di coscienza delle proprie problematiche. Lo scopo non è quindi solo quello di raggiungere l’astinenza, che comunque è necessaria, ma riuscire a risolvere i nodi che hanno portato al momento di impasse e all’esordio della dipendenza come sintomo funzionale ad un situazione familiare patologica sottostante.
L’astinenza, come ho accennato, è il punto di partenza ed è ritenuta indispensabile anche alla fine del trattamento. Questo perché Guerreschi sostiene che non si può mai “guarire” completamente da una dipendenza, come gli alcolisti non riescono ad assumere alcol in maniera regolata nemmeno dopo anni di astinenza, così il giocatore non potrà mai avere un controllo sul suo comportamento di gioco.
Le tappe della terapia ricalcano principalmente la fase ascendente dello schema di Custer, la quale termina con il raggiungimento di un nuovo stile di vita. Il soggetto in genere chiede aiuto nella “fase critica” quando si rende conto di non avere più le risorse per risolvere i propri problemi economici. Egli infatti non riconosce il vero problema, ovvero l’incapacità di controllare il proprio bisogno di giocare, ma si concentra sul disastro finanziario. Anche a questo sono dovute le prime resistenze al cambiamento: smettere di giocare significa abbandonare la speranza di poter recuperare magicamente ed in fretta ciò che si è perduto. La figura del tutor che cura gli interessi del giocatore dal punto di visto finanziario è importantissima all’interno del progetto, il pagamento dei debiti consente al soggetto di acquistare una certa autostima, necessaria per portare avanti l’impegno della terapia. Nella “fase critica” si cerca soprattutto di costruire la motivazione al cambiamento del soggetto, essa si compone di otto tappe:
- Avere un sincero desiderio di aiuto;
- Avere speranza;
- Smettere di giocare;
- Prendere decisioni;
- Schiarire le idee;
- Tornare lavorare;
- Risolvere i problemi;
- Programmare il risarcimento dei debiti.
In genere l’astinenza all’inizio del trattamento non crea grossi problemi, ma bisogna mettere in conto la possibilità di ricadute. Esse non devono essere considerate né dal giocatore, né dall’operatore come un fallimento, anzi possono servire soprattutto al giocatore per metterlo in guardia di fronte ad eventuali situazioni a rischio e dissuaderlo da un atteggiamento di eccessiva sicurezza.
La seconda fase che il giocatore attraversa nel suo recupero è detta “di ricostruzione” e si articola in sei tappe:
- Migliorare i rapporti familiari;
- Tornare a rispettare se stessi;
- Sviluppare delle mete;
- Trascorre più tempo con la famiglia;
- Avere minore impazienza;
- Avere maggiore rilassatezza.
A questo punto il soggetto inizia a lasciare la vita da giocatore patologico. L’astinenza dal gioco gli permette di avere più tempo da passare con la famiglia per cui ha la possibilità di migliorare i rapporti ed entrare in contatto con una emotività che sembrava perduta a causa dell’assorbimento totale nella dipendenza. Il risanamento dei debiti favorisce anche questi rapporti. Dal punto di vista personale, si iniziano ad intravedere i primi risultati della terapia: il soggetto comincia a comprendere i propri limiti, abbandonando l’illusione di onnipotenza che alimentava il comportamento di gioco, allo stesso tempo aumenta la sua autostima grazie al risanamento dei problemi finanziari. Egli abbandona anche un’altra percezione distorta, la speranza di poter ottenere tutto e subito. Impara a pianificare e capisce che per arrivare alla realizzazione di un progetto occorre impegno e sacrificio. Il nuovo quadro della situazione permette al soggetto di essere più rilassato.
Progressivamente si arriva alla “fase di crescita”, che complessivamente rappresenta lo scopo della terapia. Essa si compone di quattro momenti:
- Diminuzione della preoccupazione legata al gioco;
- Introspezione;
- Comprensione per gli altri;
- Dare affetto agli altri.
La remissione del comportamento disfunzionale lascia una sorta di “vuoto” dato che esso riempiva tutto lo spazio psichico del soggetto. Ma a questo punto egli è pronto a riempire questo vuoto con nuovi valori, atteggiamenti, emozioni che faranno parte del suo nuovo stile di vita.
Come possiamo notare questo approccio è molto ricco, il programma terapeutico che Guerreschi propone è originale in quanto è stato creato da lui stesso e mette insieme teorie diverse. Possiamo rintracciare uno sforzo di stampo cognitivista nel tentativo di eliminare idee irrazionali, come l’illusione di onnipotenza e di controllo dal funzionamento psichico del soggetto. A questo si affianca l’impegno nel potenziamento dell’autostima e dell’autoefficacia, concetti tratti dalla social cognition di Bandura. Inoltre si possono vedere anche tracce di comportamentismo nell’astinenza iniziale, confidando sul fatto che i risultati conseguiti mano a mano con la terapia fungeranno da rinforzo per un suo mantenimento nel tempo.
L’approccio si dice multimodale in quanto si serve di diversi strumenti per raggiungere i risultati prefissati. Vengono infatti praticate terapie individuali, di gruppo, consulenze legali, sostegno alla famiglia grazie alla costituzione di gruppi di auto-aiuto,etc.
La S.I.I.Pa.C. ha sede ha Bolzano, dove si possono seguire sia trattamenti residenziali in comunità, sia ambulatoriali. Recentemente però è stato aperto a Roma lo sportello Infoazzardo, gestito dalla stessa associazione in collaborazione con l’Ufficio Roma Sicura.
I gruppi di auto-aiuto
I gruppi di auto-aiuto sorgono in seguito al fallimento del sistema del welfare state. I cittadini, non sentendosi soddisfatti dai servizi offerti dallo stato e percependo gli operatori come demotivati e troppo distaccati, si uniscono nel tentativo di darsi sostegno reciproco. Questi gruppi sono autogestiti ed autofinanziati, rifiutano una struttura di tipo gerarchico e si fondano sulla parità tra i membri, i quali a turno rivestono ruoli di organizzazione e gestione amministrativa, impedendo così che il potere si accentri nelle mani di uno solo. Il gruppo non è perciò guidato da un professionista e la presenza di un eventuale psicologo per esempio, è tollerata solo se non interferisce nell’organizzazione del gruppo ed interviene all’unico scopo di facilitare la comunicazione tra i partecipanti. Durante gli incontri ciascuno racconta a turno la propria storia e gli altri ascoltano con partecipazione emotiva (Francescano e Ghirelli, 1998). I Gamblers Anonymous, giocatori anonimi, sono i primi ad inaugurare questa tendenza aggregativa nel 1935, allo scopo di combattere la loro dipendenza dall’alcol. La filosofia dei gruppi di self-help risiede nel concetto di mutuo aiuto: ogni membro aiutato dagli altri e allo stesso tempo aiuta gli altri. In questo modo si mettono in moto una serie di processi benefici per l’individuo:
- vedendo che un’altra persona con il suo stesso problema è riuscita a superarlo, abbandona l’idea di impotenza che aveva sviluppato nei confronti della sostanza (se per es. il problema è una dipendenza) che lo ha assoggettato;
- Sentendosi utile per un’altra persona il soggetto acquista maggiore fiducia in se stesso ed aumenta la propria autostima;
- Un’adeguata autostima porta a sentirsi competenti ed in grado di portare a termine con successo dei progetti (maggiore self-efficacy);
- Il soggetto si sente potenziato nella capacità di risolvere il problema;
- Inoltre la condivisione del problema da parte di un gruppo ne fa sentire meno il peso su ogni singolo individuo (“mal comune mezzo gaudio”).
Nel 1957 nasce l’associazione dei Gamblers Anonymous, i Giocatori Anonimi (GA), sull’esempio degli Anonimi Alcolisti (AA). Essi ritengono che il gioco d’azzardo sia una malattia con natura progressiva, la quale non può essere curata, ma solo arrestata, attraverso il raggiungimento della totale astinenza. Il recupero si fonda sulla lettura a turno dei “dodici passi dell’unità”, che rappresentano una specie di regolamento dell’associazione e dei “dodici passi del recupero”, attraverso i quali il giocatore riconosce la propria impotenza di fronte al gioco, si affida ad un Potere più grande di lui, fa un esame della propria vita, riconosce i propri errori e con la meditazione mira a cambiare la propria vita. (Croce e Zerbetto, 2001).
Anche il programma dei Giocatori Anonimi si fonda sullo stesso sistema dei “dodici passi”. A tale proposito Browne (1991), scrive un articolo in cui afferma che i due gruppi sono sostanzialmente diversi, contrariamente all’opinione popolare. Le principali differenze risiederebbero nella struttura organizzativa, nella concezione del problema e nella natura della consapevolezza dei membri. Egli sostiene l’opportunità di allargare e potenziare il ruolo delle GA, che sono più piccole rispetto alle AA e crescono in proporzione minore nel corso degli anni. Allo stesso tempo propone di sviluppare altre forme specifiche di trattamento, residenziali e di comunità per migliorare la cura di queste persone.
Ogni tipo di terapia può comunque essere accompagnata da un trattamento di tipo farmacologico, soprattutto nei casi più gravi, laddove il gioco d’azzardo sia associato ad altre forme psicopatologiche come la depressione, che espone l’individuo a rischio di suicidio. In questi casi risulta efficace l’azione di un farmaco antidepressivo, il Fevarin, che agisce sul sistema serotoninergico, responsabile nell’iniziazione dei comportamenti, nella regolazione dell’aggressività e nella capacità di controllare gli impulsi. Ravizza, direttore del dipartimento di neuroscienze di Torino afferma l’utilità di questo tipo di farmaco nella cura dei giocatori patologici. Dal punto di vista psicologico però l’eliminazione di un comportamento disfunzionale porta alla soluzione del problema solo in superficie, perciò un trattamento psicoterapeutico adeguato risulta imprescindibile.