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Gioco d’azzardo e patologia: dal social gambler al giocatore patologico

Il gioco d’azzardo è stato per molti anni un fenomeno poco studiato e comunque di scarso interesse per la psicologia. La competenza in materia di gioco d’azzardo è stata prima della religione, che ne ha sottolineato il carattere peccaminoso, poi è passata sotto il dominio del diritto, il quale ne ha messo in luce la caratteristica di illegalità.

I primi segni di interessamento a tale fenomeno da parte della psicologia e della medicina si intravedono con Kraepelin, che parla di “mania del gioco d’azzardo”.

Nel 1898 Gerolamo Caramanna distingue tre tipi di giocatori: quelli occasionali e di professione, mossi dal desiderio di guadagnare denaro, e quelli per passione, spinti da un istinto irresistibile.

In seguito è Freud che nel suo saggio Dostoevskij e il parricidio (1928), riprende il discorso sul gioco d’azzardo, aprendo così il campo ad altri psicoanalisti come Bergler.

Nel 1980 il gioco d’azzardo viene inserito dall’American Psychiatric Association nel DSM III: questo evento segna il suo riconoscimento come una vera e propria malattia mentale.

Come possiamo notare da questo breve excursus, il gioco d’azzardo non è mai stato preso in considerazione nella sua complessità, ma fino ad oggi se n’è preso in considerazione solo un aspetto alla volta. Dall’inserimento nel DSM per esempio, si sono moltiplicate le ricerche sul giocatore d’azzardo patologico, ma si è lasciato un po’ in disparte lo studio del giocatore sociale, cosiddetto social gambler.

Scorrendo i vari articoli sul gioco d’azzardo si trovano accenni al social gambler, ma spesso solo nel contesto di un confronto con il giocatore patologico, che rappresenta il fulcro della ricerca. Guerreschi (2000) suddivide i giocatori in sei categorie lungo un continuum che va dal giocare per divertirsi e passare il tempo, al giocare spinti da un impulso che non si riesce a controllare (vedi tab. 2.1), ma è a quest’ultima categoria che dedica la sua attenzione.

Bolen e Boyd (1968) nel loro articolo Gambling and the Gambler distinguono il pathological gambler dal normal gambler, utilizzando i concetti psicoanalitici di ‘colpa’ e ‘desiderio inconscio di perdere: il giocatore patologico è spinto da componenti aggressive e libidiche inconsce, il gioco rappresenta la soddisfazione di tali istinti proibiti, perciò genera sentimenti di colpa. Per estinguerli il giocatore continua a giocare desiderando inconsciamente di perdere per essere punito.

Il normal gambler invece è motivato un semplice desiderio di divertimento e rilassamento, perciò nutre sia consciamente che inconsciamente la speranza di vincere ed è in grado di smettere di giocare quando vuole.

Francisco Alonso-Fernandez fa’ anch’egli una classificazione dei giocatori: Il giocatore sociale è spinto da “spirito ricreativo” e mantiene un controllo tale per cui il gioco non interferisce nel funzionamento normale della sua vita, il giocatore problematico invece ricorre a qualsiasi mezzo pur di vincere dato che non accetta le perdite e a volte può anche reagirvi in modo violento. Per il giocatore patologico leggero il gioco è il sintomo di una patologia sottostante, come può essere per esempio uno stato depressivo. Infine il giocatore dipendente ha sviluppato una vera e propria dipendenza nei confronti di questa attività, perciò eventuali fenomeni di comorbilità sono solitamente una conseguenza di questa dipendenza primaria (Alonso-Fernandez, 1996).

Pensando al gioco d’azzardo salta subito alla mente  Dostoevskij, che nel suo romanzo Il giocatore (1866) descrive perfettamente la figura del pathological gambler, essendolo stato lui stesso: “M’invase una terribile sete di rischio. Forse, passando attraverso tante sensazioni, l’anima non se ne sazia, fino allo spossamento definitivo (…): Provavo solo una certa tremenda voluttà, di riuscita, di vittoria, di potenza, non so come esprimermi” (ibidem, pag. 162-163).

Come si capisce da questa citazione il gioco d’azzardo patologico è un’esperienza travolgente, vissuta dai giocatori come la possessione della loro anima da parte di un demone, ma a livelli non patologici, il gioco d’azzardo è un’attività socialmente accettata e rintracciabile in quasi tutte le culture.

Classificazione dei giocatori d’azzardo operata da Guerreschi
 1.      Giocatori d’azione con sindrome da dipendenza: hanno perso il controllo sul loro modo di giocare. Per essi, giocare d’azzardo è la cosa più importante nella vita, l’unica cosa che li mantiene in “azione”. Il gioco d’azzardo compulsivo è una dipendenza progressiva che abbraccia tutti gli aspetti della vita del giocatore. Mentre continua a giocare, la sua famiglia, i suoi amici ed il suo lavoro vengono influenzati negativamente dalla sua attività di gioco. Il giocatore compulsivo non può smettere di giocare, indipendentemente da quanto lo desideri o da quanto duramente ci provi.
2.      Giocatori per fuga con sindrome da dipendenza: giocano per trovare alleviamento alle sensazioni di ansietà, depressione, rabbia, noia o solitudine. Usano il gioco d’azzardo per sfuggire da crisi o difficoltà. Il gioco provoca un effetto analgesico invece di una risposta euforica.
3.      Giocatori sociali costanti: il gioco d’azzardo è la fonte principale di relax e divertimento, sebbene questi individui mettano il gioco in secondo piano rispetto alla famiglia e al lavoro. I giocatori sociali costanti mantengono ancora il controllo sulle loro attività di gioco.
4.      Giocatori sociali adeguati: giocano per passatempo, per socializzare e per divertirsi: Per essi giocare d’azzardo può essere una distrazione o una forma di relax. Il gioco non interferisce con le obbligazioni familiari, sociali o lavorative. A questa categoria di giocatori appartiene la maggioranza della popolazione adulta.
5.      Giocatori antisociali: sono giocatori antisociali coloro che si servono del gioco d’azzardo per ottenere un guadagno in maniera illegale.
6.      Giocatori professionisti non-patologici: si mantengono giocando d’azzardo e considerano il gioco d’azzardo una professione.

 

Il gioco come “oasi di gioia” 

Caillois (1958) definisce il gioco come un’attività: 

  • libera, a cui il giocatore non può essere obbligato, ma che sceglie liberamente;
  • separata dalla realtà quotidiana;
  • incerta perché il giocatore possiede la libertà di inventare, senza determinare anticipatamente svolgimento e risultato;
  • improduttiva perché non crea ricchezza né altri elementi nuovi, al massimo la ricchezza viene ridistribuita in maniera diversa tra i partecipanti;
  • regolata, dato che si creano delle leggi nell’ambito dell’esperienza ludica;
  • fittizia, cioè accompagnata dalla consapevolezza di essere qualcosa di diverso dalla vita reale.

L’autore distingue quattro tipi di giochi: quelli di agon, caratterizzati dalla competizione e dal piacere di risultare il migliore; quelli di alea,  antitetici ai primi, in cui ci si affida totalmente alla fortuna aspettando passivamente il risultato; i giochi di mimictry, il cui piacere risiede nel far finta di esser qualcun’ altro o qualcos’altro, come nel teatro ed infine i giochi di ilinx, di vertigine, attraverso i quali si cercano forti sensazioni, per esempio le montagne russe.

I giochi d’azzardo vengono classificati nella categoria dell’alea, che, dice Caillois, “nega il lavoro, la pazienza, la destrezza, la qualificazione (…) è avversità totale o fortuna assoluta” (ibidem, pag.34). L’autore considera i giochi d’azzardo i “giochi umani per antonomasia” dato che gli animali, pur conoscendo giochi di competizione, immaginazione e vertigine, non sono capaci di pensare ad un’entità superiore come la fortuna alla quale affidarsi.

Quindi, una volta riconosciuta l’esistenza e l’importanza del gioco d’azzardo a livello sociale, possiamo chiederci perché l’uomo è spinto a giocare, seppure occasionalmente. Imbucci (1997) risponde che con la schedina si compra un po’ di illusione e di speranza, che giocarla è una forma di svago e divertimento per la maggioranza delle persone, ma anche un modo per vivere delle emozioni. Lavanco e Varveri (2001), proprio per indagare la dimensione psicosociale del gioco d’azzardo, conducono una ricerca empirica su dei giocatori abituali nel territorio siciliano. Essi si servono di due strumenti, un questionario appositamente costruito per avere un’immagine il più possibile esauriente di ogni giocatore e la scala I – E di Rotter per stabilire il locus of control, ovvero al tendenza dei giocatori ad attribuire le cause di successi e insuccessi a fattori esterni (fortuna) oppure esterni (competenza).

I risultati della ricerca hanno innanzi tutto permesso di dividere i giocatori sociali in tre categorie:

  • I giocatori che per vincere fanno affidamento sulla propria competenza, come gli scommettitori alle corse dei cavalli, i quali ritengono necessaria una certa dose di esperienza e abilità per azzeccare un pronostico;
  • Quelli che si affidano totalmente alla fortuna, come nel gioco del Lotto;
  • I giocatori che contano su ambedue le componenti, i quali ritengono che per ottenere un risultato positivo occorre una miscela di competenza e di fortuna. Un esempio tipico si ha nel Totocalcio, uno dei giochi più accettato a livello sociale e ritenuto meno rischioso nell’ideale collettivo.

Rappresentando perciò gli scommettitori al Totocalcio i giocatori sociali per eccellenza, gli autori hanno deciso di restringere il campione solamente a questa categoria. Essi sostengono: di non avere mai avuto problemi derivanti dal gioco né nei rapporti sociali (88%), né di tipo economico (84%). In seguito a perdite consistenti, per giocare o pagare un debito non sono ricorsi a chiedere un prestito (81%): solo il 5% dichiara di aver avuto problemi economici e sociali causati dal gioco.

I soggetti della ricerca ritengono che essenzialmente giocare è: un piacere (61%), un’abitudine settimanale (19%), un modo per seguire il gruppo (7%). Il gioco è anche inteso come vizio (12%) e una necessità, ma solo dal 2% del campione. Possiamo quindi dedurre che in linea generale il gioco, per il giocatore sociale rappresenta uno spazio altro, rispetto alla vita reale. Si gioca più che mai per tentare di migliorare la qualità della stessa, tant’è vero che il 37% dei soggetti intervistati, in caso di vincita consistente, farebbe investimenti economici, il 27% migliorerebbe il tenore di vita, il 12% spenderebbe il denaro in viaggi, il 5% in automobili od oggetti di lusso, l’1% in beneficenza, mentre solo il 6% rigiocherebbe la somma vinta per incrementarla.

Si può affermare che il giocatore sociale ottiene attraverso il gioco una sorta di “fuga psichica” dalla realtà , un modo per uscire dalla routine, uno “spazio magico” (Huizinga, 1938) in cui può dare sfogo alla fantasia ed immaginare se stesso in diverse situazioni di vita.

La carriera del giocatore d’azzardo

Il giocatore sociale può diventare patologico quando non riesce più a controllare il proprio comportamento di gioco ed inizia a subire danni a livello economico, psicologico, relazionale e lavorativo. Il passaggio è progressivo, si tratta di un processo messo in moto dall’interazione di vari elementi, per questo è utile a scopo preventivo individuare i fattori di rischio, in grado di facilitare l’insorgenza del fenomeno (Lavanco, 2001). Questo autore, grazie alla ricerca citata nel paragrafo precedente, individua un potenziale fattore di rischio: il rapporto tra competenza e fortuna. Egli sostiene che la tendenza ad affidarsi a vittorie fortuite per attuare un cambiamento, negando il valore del lavoro e del merito può agevolare il cammino di un giocatore sociale verso un esito patologico.

Ferma restando tale visione processuale, ogni autore si esprime seguendo il proprio orientamento.

Walters (1994) per esempio, elabora una teoria dello “stile di vita” del giocatore secondo l’ottica cognitivista. Lo stile di vita sarebbe determinato dall’interazione tra l’individuo e il suo ambiente, condizioni interne ed esterne al soggetto rappresenterebbero fattori di rischio o fattori protettivi, a seconda della loro funzionalità per il suo benessere. Egli è in grado di effettuare scelte responsabili che orientano la sua esistenza, ma in presenza di questi elementi disturbanti lo spettro delle possibilità si restringe. Per esempio, una bassa autostima favorisce in un individuo la percezione di se stesso come inadeguato, così probabilmente sarà più incline a comportamenti disadattivi, come il gioco d’azzardo. Altri fattori rischiosi secondo Walters possono essere il tipo di attaccamento sicuro o insicuro, le relazioni instaurate durante il corso della vita e l’immagine di sé stesso che il soggetto ne ricava, il fatto di essere cresciuto a stretto contatto con altri giocatori abituali, etc. Una volta instaurata la dipendenza da gioco, il giocatore ricorre a meccanismi cognitivi e razionalizzazioni che gli permettono di giustificare la propria condotta e salvare l’autostima.

Lesieur (1979) sostiene che la “carriera” di un giocatore d’azzardo può essere vista come una spirale: essa si articola in diversi gradini che lo portano ad un sempre più ampio coinvolgimento con l’attività di gioco. Come un medico od un avvocato, il giocatore percorre la sua scalata verso il successo, ma il successo in questo caso è il totale fallimento: diventare dipendente dal gioco.

L’autore succitato introduce il concetto di chasing, la rincorsa della perdita: più il giocatore perde, più aumenta l’attività ludica e l’ammontare della scommessa, nell’illusione di recuperare con una grande vincita il denaro perduto. Questo è il meccanismo che conduce progressivamente alla dipendenza e che,  sostiene Lesieur, distingue il giocatore patologico da quello sociale dato che soltanto il primo possiede questa filosofia. In accordo con Walters (1994), anch’egli nota che quando il giocatore si trova completamente intrappolato tra debiti, menzogne e problemi familiari, utilizza giustificazioni per coprire a se stesso la realtà, soprattutto per negare quei comportamenti lesivi della sua autostima come il rubare, che viene perciò etichettato come “prendere in prestito”.

Infine è d’obbligo citare un contributo che possiamo definire essenziale per la nascita dell’attuale idea di dipendenza da gioco come processo: lo schema di Custer (1982), nel quale vengono rappresentate le fasi che attraversa un giocatore d’azzardo patologico nell’instaurarsi della malattia.

chema di Custer - Giocatore d'azzardo Patologico
chema di Custer – Giocatore d’azzardo Patologico

Nella prima fase, la “fase vincente”, il gioco è occasionale, si gioca per divertirsi e le vincite sono frequenti. Il giocatore sente di guadagnare soldi facilmente, così aumenta il tempo e il denaro impiegato nelle scommesse. Spesso si ha una grossa vincita durante questa fase che, secondo l’autore dura dai tre ai cinque anni.

Ad essa segue la “fase perdente”, con episodi di perdite, gioco solitario e progressivo incremento delle scommesse per recuperare ciò che si è perso. E’ qui che inizia la rincorsa delle perdite che secondo Lesieur (1979), innesca il meccanismo della dipendenza. Subentrano a questo punto i debiti, le menzogne e il ricorso ai prestiti, in attesa della miracolosa vincita che consentirà di regolare i conti. Ma con l’arrivo di questa vincita il giocatore, invece di fermarsi continua a giocare, avendo ritrovato la fiducia in se stesso e nel favore della fortuna.

Intrappolato in questo meccanismo, giunge alla “fase della disperazione”, in cui perde il controllo degli eventi e arriva anche a commettere azioni illegali per procurarsi i soldi. I reati più frequenti sono la falsificazione di assegni, la frode fiscale, l’appropriazione indebita e l’emissione di assegni a vuoto. Il giocatore è ancora fiducioso che tanto prima o poi arriverà la grande vincita a salvarlo, ma ormai nessuno crede più alle sue bugie e la sua famiglia va in crisi, siamo alla “fase della perdita della speranza”.

A questo punto il giocatore si trova sommerso da problemi di tipo legale, lavorativo e relazionale tanto che spesso insorgono anche depressione, vari sintomi correlati allo stress e a volte, sostiene Custer, vere e proprie crisi d’astinenza.

Quando il soggetto decide di chiedere aiuto si entra nella “fase critica”, iniziando un percorso terapeutico che attraverso la “fase della ricostruzione” lo condurrà a quella “della crescita”.

Osservando lo schema di Custer noteremo che la freccia in salita che indica la “fase di crescita” arriva più in alto rispetto al punto di partenza, costituito dalla freccia in discesa. Ciò significa che il recupero, secondo l’autore deve passare attraverso una crescita della persona nella sua totalità, un ampliamento della coscienza che porterà l’individuo ad un benessere e ad una consapevolezza di sé mai raggiunti prima.

Tale visione processuale dell’instaurarsi della patologia del gioco d’azzardo è interessante perché mette in luce l’interazione tra fattori ambientali ed individuali nell’eziologia e nel mantenimento del comportamento di gioco. Ovviamente non si deve cadere in errore considerando il passaggio da una fase all’altra come obbligato e necessariamente determinato, è piuttosto l’incontro tra un particolare individuo ed una particolare situazione in un dato momento, a generare un risultato unico e comprensibile solo all’interno di quel contesto specifico.

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Dipendenza da gioco d’azzardo

La storia

 Molti autori hanno affrontato il tema del gioco, considerandolo una prerogativa essenziale degli esseri umani non soltanto nell’età infantile. Huizinga (1938) attribuisce un ruolo fondamentale al gioco nel suo saggio “Homo ludens”: egli afferma che ogni aspetto della vita può essere ricondotto ad un gioco; “ogni azione umana appare un mero gioco”. Il gioco non è un prodotto della cultura ma al contrario: “La cultura sorge in forma ludica, la cultura è dapprima giocata (…) nei giochi e con i giochi la vita sociale si riveste di forme soprabiologiche che le conferiscono maggior valore. Con quei giochi la collettività esprime la sua interpretazione della vita e del mondo. Dunque ciò non significa che il gioco muta o si converte in cultura, ma piuttosto che la cultura, nelle sue fasi originarie, porta il carattere di un gioco” (Huizinga, 1938, pag. XVII). Secondo l’autore l’uomo può essere definito “Ludens”, oltre che “faber” perché accanto al suo essere attivo e produttore possiede anche la funzione  di uomo che gioca. Ma, come nota Caillois (1958), il saggio di Huizinga non tratta il giochi d’azzardo, elemento peculiare per l’uomo del suo modo di essere nel mondo. Il gioco d’azzardo affonda le sue radici fin nell’antichità, già a partire dal 4000 a.C. ne troviamo notizia: si pensa addirittura che i primi giocatori d’azzardo fossero gli egizi, i quali per predire il futuro utilizzavano quello che oggi è il gioco dei dadi. La stessa parola azzardo del resto deriva dal francese hazard, che a sua volta deriva dall’arabo az-zahr, un antico gioco orientale con tre dadi, in cui il punteggio massimo è 6-6-6. Croce e Zerbetto (2001), notano che il numero 666, conosciuto come il numero del Diavolo, è anche la somma di tutti i numeri della roulette e accostano questa simbologia al fatto che il gioco d’azzardo possa diventare anche una dannazione, se si pensa al suo essere compulsivo e alle disastrose conseguenze alle quali può condurre questa “sete di rischio” (Dostoevskij, 1866, pag. 162). Riferimenti al gioco d’azzardo compaiono anche nella mitologia egizia: Mercurio, giocando con la Luna, riesce a vincere un po’ della sua luminosità e quei cinque giorni che si andranno a sommare ai 360 dell’anno e che verranno celebrati come il compleanno degli dei. In Cina, India e Giappone sono stati ritrovati manoscritti che raccontano di forti scommesse al gioco dei dadi e alle corse dei carri. Anche nelle antiche civiltà greca e romana era diffuso il gioco d’azzardo, infatti in diverse taverne romane sono state ritrovate insegne recanti la scritta panem et circenses, scommesse e cibo. Inoltre sappiamo che alcuni degli imperatori, tra cui Nerone, Claudio e Caligola, erano  giocatori che oggi chiameremmo patologici. Presso le popolazioni germaniche i giocatori arrivavano a perdere la moglie, i figli e persino la loro libertà. Nel corso dei secoli si espandono le modalità di gioco: tra il XII e il XIII secolo compaiono le corse dei cavalli, che inizialmente in Gran Bretagna vengono chiamate “lo sport dei re”, ma in seguito si diffondono anche al  popolo. Tra il XVI e il XVII secolo nascono le lotterie, nel Settecento Blaise Pascal inventa la roulette e nel 1895 l’americano Charles Fay crea le prime slot-machines, conosciute negli Stati Uniti come “banditi con un braccio solo”.

Negli anni l’atteggiamento nei confronti del gioco d’azzardo è cambiato più volte, alternando fasi di permissivismo ad altre di proibizionismo. Croce e Zerbetto osservano che negli ultimi due millenni, emerge come la competenza e la condanna del gioco (e dei giocatori) sia stata in un primo momento di pertinenza religiosa (giocare è peccato), diventando quindi di dominio e preoccupazione del diritto (giocare è reato), mentre ora appaia sempre più di dominio della medicina e della psicologia (giocare- se in modo compulsivo- è malattia). Nel Medioevo per esempio a Firenze e Venezia il gioco fu vietato insieme alla bestemmia. Nel 1212 il consiglio Lateranense proibì il gioco d’azzardo, esso era considerato sacrilego in quanto rappresentava un rivolgimento al divino o al maligno al fine di ottenere risultati. (Lavanco, 2001). Nel 1731 però, al tempo di Clemente XII, la Chiesa trasforma il lotto in gioco di stato. Il monopolio sul gioco d’azzardo diventa una grossa risorsa finanziaria per arricchire l’Erario e compensare i deficit statali. Croce scrive infatti che oltre al paradigma morale del gioco come vizio dei più deboli, a quello psicoanalitico della malattia e a quello legale del gioco come reato si può rintracciare un paradigma economico, in cui “il gioco è business. Produce ricchezza, porta lavoro, ricchezza e profitto alle comunità locali e, da non ultimo, legalizzandolo si può togliere risorse alla criminalità” (Croce, 2001, pag.66). A partire dal 1963 infatti prende avvio la legalizzazione negli Stati Uniti e si espande un clima di fiducia e di positività nei confronti delle attività di gioco, tant’è che “Las Vegas divenne un luogo dove andare in vacanza e giocare alla lotteria divenne un’abitudine del week-end” (Croce, 2001, pag.67). Fiasco sostiene che il gioco rappresenti una risorsa anche per il popolo: per esso significa la possibilità di sperare in una vita migliore, quando lo stato non lo garantisce. E’ proprio nei periodi di crisi economica che gli italiani si affidano al gioco: “una correlazione negativa così vistosa (quando l’economia fiorisce l’azzardo deperisce) dovrebbe ridimensionare la retorica di quella che era stata indicata come l’inguaribile passione degli italiani. (…) Se il gioco è un alternativa all’azione costruttiva per accedere al reddito, quando si riduce la credibilità della risposta attiva al bisogno (appunto nei periodi di crisi economica), allora aumenta la forza attrattiva della fortuna al gioco. Viceversa con la dinamizzazione dell’economia, acquista significato la ricerca di soluzioni non aleatorie.” (Fiasco, 2001, pag.328).

Oggi ci stiamo rendendo conto del grosso impatto che la politica di progressiva legittimazione e incentivazione del gioco d’azzardo ha avuto a livello sociale. A partire dal 1990 negli Stati Uniti e dal 1990 in Europa, si sono moltiplicate le ricerche volte a stabilire il tasso di prevalenza dei giocatori problematici e patologici. In Italia si stima che l’80% della popolazione gioca almeno una volta l’anno e la percentuale dei giocatori patologici è compresa tra l’1% e il 3%.

I nuovi giochi: VideoPoker e Gioco d’Azzardo su Internet

Da quando si è iniziato ad applicare le nuove tecnologie al gioco d’azzardo sono fiorite sempre più semplici e pratiche opportunità di giocare. Non si gioca più solo nei casinò e nelle sale corse, oggi lo possiamo fare nei luoghi più comuni come nei bar, nelle ricevitorie e addirittura comodamente a casa nostra, basta disporre di un collegamento ad internet e di una carta di credito. La nostra è soprattutto è l’epoca dei videopocker, macchinette che simulano il gioco del pocker ma in cui non si sfida nessun avversario. Dalla loro comparsa si sono moltiplicati i casi di dipendenza. Come disse Mauro Croce nel 2001: “Oggi il videopocker sta trasformando in fenomeno sociale di massa una ‘malattia’ prima limitata a fasce circoscritte di popolazione. Fra i miei pazienti, che cercano di liberarsi dalla mania del videopocker, ci sono anziani che prima si limitavano alla partita a carte. Oggi nei bar ci sono queste macchinette, loro le preferiscono alla briscola e cresce la dipendenza”. Alcuni esperti mettono in guardia rispetto al fatto di non considerare queste macchinette dei videogiochi; le differenze sono numerose: innanzitutto nei videopocker manca la componente di abilità necessaria per cimentarsi con i videogiochi, inoltre nei primi si inserisce denaro contante, eliminando così il tramite del cambio dei soldi che potrebbe costituire un elemento di riflessione per il giocatore e potrebbe interrompere l’automatismo del comportamento di gioco. Un’altra caratteristica peculiare dei videopocker è l’obbligo per i gestori di pagare la vincita in buoni consumazione, ma molto spesso tale obbligo non viene rispettato ed il pagamento avviene sotto forma monetaria. Accanto a queste caratteristiche che potrebbero contribuire all’instaurazione della dipendenza, ne troviamo un’ altra di estrema importanza: l’isolamento e l’estraneazione dalla realtà che producono, lo stesso che troviamo anche nelle slot-machines.

Internet: Il Gioco D’Azzardo Moderno

Un’altra opportunità di gioco alienante dalla realtà è offerta da Internet. Digitando su qualsiasi motore di ricerca la parola ‘azzardo’ si aprono centinaia di siti che propongono casinò virtuali, scommesse, aste on-line ed investimenti in azioni di borsa (Lavanco, Varveri, Lo Re, 2001). Romani sostiene che il successo dei cybercasinò è dovuto ad una “reciproca convenienza” tra chi li gestisce, perlopiù società australiane che riescono ad eludere divieti ed obblighi imposti dalla legge grazie alla non regolamentazione del gioco virtuale, e gli utenti. Questi godono di vantaggi come il non doversi recare al casino, risparmiando denaro per il viaggio e mantenendo la totale privacy (Croce e Zerbetto, 2001). Croce, nell’intervista sopra citata dice: “ On line sono stati contati almeno 500 casinò virtuali. Si gioca da casa, con la carta di credito, in modo discreto e solitario, ad ogni ora. In Gran Bretagna sono in allarme per la diffusione del gioco via Internet sul posto di lavoro: lo stesso trading on line a volte è vissuto e praticato come una forma d’azzardo. Con le tessere a scalare e le puntate tramite telefonino le patologie sono destinate a crescere, perché l’isolamento e l’assenza di contatto con la moneta contante le favoriscono” (Guadagnucci, 2001, pag.2).

All’opposto di questi giochi che portano all’estraneazione dal mondo, ce ne sono altri che favoriscono la socializzazione. Gli scommettitori alle corse dei cavalli, per esempio, considerano fondamentale il gruppo ed hanno bisogno di sentirsene parte; essi non giocano uno contro l’altro, ma contro un’organizzazione che si arricchisce grazie alla loro attività. Altri giochi che non precludono la socializzazione sono i cosiddetti “giochi nobili”, come la roulette ed il pocker. Essi si trovano all’interno del casinò, il quale nonostante i nuovi giochi non ha perso il proprio fascino soprattutto tra i giovani e i ceti medi (Sbrocco, 2000). I casinò ufficiali in Italia sono quattro: Saint Vincent, Campione d’Italia, San Remo e Venezia. I giocatori di casino costituiscono un gruppo a parte rispetto agli altri a causa dei loro peculiari codici comportamentali: “Al casino si entrava con la cravatta, vigeva la regola della mancia ai croupier, bisognava registrarsi, esistevano regole e rituali di comportamento precisi e chi vi entrava accettava o sceglieva di partecipare, condividere e costruire un rito collettivo” (Croce, 2001, pag.160).

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La Dipendenza dallo Shopping o Shopping Compulsivo

Dipendenza Da Shopping
Dipendenza Da Shopping

La Dipendenza dagli Acquisti, detta anche Shopping Compulsivo, è un disturbo che viene descritto per la prima volta da Kraepelin nel 1915, il quale parla della “mania di comprare” o della “oniomania” come di un impulso patologico. In seguito Bleuler (1924) lo elenca tra gli “impulsi reattivi”. Nella sua ricerca del 1994, la studiosa McElroy propone i seguenti criteri diagnostici per distinguere le persone che praticano lo shopping come una normale attività, da quelle per cui esso assume caratteristiche patologiche:

  1. La preoccupazione, l’impulso o il comportamento del comprare non adattivi come indicato da uno dei seguenti elementi
    • frequente preoccupazione o impulso a comprare, esperiti come irresistibili, intrusivi o insensati;
    • comprare frequentemente al di sopra delle proprie possibilità, spesso oggetti inutili (o di cui non si ha bisogno), per un periodo di tempo più lungo di quello stabilito.
  2. La preoccupazione, l’impulso o l’atto del comprare causano stress marcato, fanno consumare tempo, interferiscono significativamente con il funzionamento sociale e lavorativo o determinano problemi finanziari (indebitamento o bancarotta).
  3. Il comprare in maniera eccessiva non si presenta esclusivamente durante i periodi di mania o ipomania.
Shopping compulsivo
Shopping Compulsivo

I soggetti che presentano questo disturbo riportano tensione crescente ed un impulso incontrollabile che li spinge a comprare, per poi sentirsi sollevati e provare un senso di piacere e gratificazione. Lo shopping compulsivo causa problemi significativi quali, stress, interferenze con il funzionamento sociale e lavorativo, distruzione familiare e coniugale e gravi problemi finanziari. Il comportamento è considerato un disordine solo quando provoca simili conseguenze negative nella vita dell’individuo. Inoltre, si riscontrano molto spesso sentimenti di colpa e vergogna in seguito all’acquisto di oggetti, che il più delle volte vengono messi da parte o regalati oppure buttati via.

Tutti gli studi condotti su tale disturbo riferiscono che esso si manifesta soprattutto nelle donne di giovane età; quasi che l’80% dei compulsive buyers sono donne. Si pensa, a tale proposito, che la società contemporanea crei in questa categoria un accrescimento dell’autostima attraverso gli oggetti acquistati. I prodotti che vengono maggiormente comperati sono: vestiti, scarpe, gioielli e cosmetici; seguono inoltre, in percentuali minori, articoli di ogni genere, dai pezzi da collezione, alle automobili.

Comorbilità dello Shopping Compulsivo con altri disturbi psichici

 La McElroy (ricerca del 1994) trova che il 90% dei soggetti affetti sa Dipendenza da Shopping presentano disturbi dell’umore (depressione), altri mostrano disordini legati all’ansia (fobie, panico, disturbo ossessivo compulsivo), abuso di sostanze (in particolare alcol), disturbi dell’alimentazione e discontrollo degli impulsi.

La presenza di un così alto grado di comorbilità con altre patologie psichiatriche, porta ad ipotizzare di diverse possibili cause nell’eziologia della dipendenza dagli acquisti.

Lo shopping compulsivo può essere inquadrato come un Disturbo Ossessivo Compulsivo, come una strategia utile per alleviare la depressione, come una forma di dipendenza o come un Disturbo del Controllo degli Impulsi.

Dipendenza da Shopping come Disturbo Ossessivo Compulsivo

Shopping Mania Dipendenza Da Shopping
Shopping Mania Dipendenza Da Shopping

Il Compulsive Buying può rappresentare una variazione del Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC). I soggetti affetti da questa patologia sostengono di essere assaliti dall’urgenza di comprare, come in preda ad un’ossessione che li costringe a mettere in atto il comportamento. Molti di loro descrivono questo impulso irrefrenabile come intrusivo.

Tale disturbo presenta spesso caratteristiche sia di tipo egosintonico, poiché genera sollievo e piacere dopo l’acquisto, sia di tipo egodistonico, in quanto crea stress, conseguenze negative e sentimenti di colpa. Per questo motivo non è da escludersi l’ipotesi che lo shopping compulsivo possa rientrare nella categoria generale dei Disturbi Ossessivi Compulsivi.

Dipendenza da Shopping derivante da Depressione

Esistono diversi motivi per poter pensare che il Compulsive Buying possa rappresentare una strategia messa in atto per alleviare uno stato depressivo sottostante. Innanzitutto si è visto che sentimenti negativi come tristezza, solitudine, frustrazione o rabbia incrementano la tendenza a fare acquisti, mentre lo shopping stesso è associato ad emozioni piacevoli quali felicità, senso di potere e competenza (Lejoyeux et al., 1996). Inoltre, secondo la ricerca della McElroy e coll., l’impulso si manifesta soprattutto durante gli episodi depressivi meno gravi, mentre è assente negli episodi severi o maniacali. Il fatto che gli oggetti acquistati siano molto spesso inutili e che il più delle volte vengano messi da parte o regalati, ci fa capire che essi servono solo a riempire un vuoto di sentimenti positivi e di autostima nel soggetto. Proprio l’autostima potrebbe costituire il legame tra depressione e shopping patologico: i compulsive buyers hanno, di solito, punteggi di autostima molto più bassi rispetto ai normali consumatori. Per questi soggetti patologici fare acquisti potrebbe essere un modo per innalzare la propria autostima e combattere frustrazione ed umore depresso.

Infine, è da segnalare che nove soggetti su tredici pazienti trattati con antidepressivi nello studio di McElroy (ricerca del 1994), mostrano una completa o parziale remissione dei sintomi caratteristici del Compulsive Buying.

Lo shopping come dipendenza

Molto interessante è però anche l’accostamento con la dipendenza. Come abbiamo visto, lo shopping a livelli patologici si associa spesso ad altri tipi di dipendenza da comportamenti o da sostanze. Similmente ad esse possiede le caratteristiche della tolleranza, che porta i soggetti ad incrementare progressivamente tempo e denaro speso negli acquisti e del craving, l’incapacità di controllare l’impulso di mettere in atto il comportamento. In questo modo il soggetto affetto da tale disturbo cerca immediata gratificazione, agendo nonostante la consapevolezza delle conseguenze negative a cui andrà incontro. In seguito all’acquisto egli sperimenta un senso di riduzione delle tensione che funziona da rinforzo per il successivo ripetersi del comportamento disfunzionale.

Impulsività nella dipendenza da Shopping

L’evidente presenza di una componente d’impulsività nella dipendenza dallo shopping e la sua frequente associazione con il Disturbo del Controllo degli Impulsi, rende probabile l’ipotesi  dell’ origine comune delle due patologie.

Alcune caratteristiche che le accomunano sono: la tensione che precede la messa in atto del comportamento, la ricerca di immediata gratificazione, e l’incapacità di sopportare la frustrazione derivante dall’astenersi dall’agire.

Dipendenza da Shopping: Conclusioni

Grazie alla letteratura scientifica in materia è possibile delineare un quadro generale del disturbo da shopping compulsivo, che permette di riconoscerne i sintomi caratteristici e le principali manifestazioni. E’ auspicabile comunque un maggiore sviluppo nella ricerca riguardante questa nuova forma di dipendenza comportamentale.

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Dipendenze e compulsioni

Alcuni studiosi si riferiscono alle dipendenze comportamentali, parlando di compulsioni o di disturbi appartenenti allo spettro Ossessivo-Compulsivo, date le forti resistenze che essi ancora oppongono al concetto di dipendenza senza l’intervento di  sostanze.

E’ importante a questo punto delineare le somiglianze e le differenze che intercorrono tra i due termini. Entrambi i disturbi sono caratterizzati da un comportamento incontrollato ed ineluttabile, ma si distinguono in diversi aspetti fondamentali:

  • L’impulso che spinge a mettere in atto il comportamento, proprio della dipendenza è di tipo egosintonico: esso appartiene alla sfera dell’Io, il soggetto ricerca l’esperienza perché lo autorealizza e lo gratifica, anche se solo in apparenza. All’opposto la compulsione od ossessione è un’idea estranea all’Io, perché il soggetto non la percepisce come una sua elaborazione, tant’è che non riesce a motivarla, anche se comunque si sente costretto a metterla in pratica; per questo la compulsione si dice egodistonica.
  • Nell’impulso dipendente la riflessione è scarsa o assente, mentre le compulsioni sono stimolate da una riflessione eccessiva, da pensieri simili a vaneggiamenti. Nel disturbo compulsivo il soggetto si trova costretto ad attuare un comportamento inspiegabile, come lavarsi continuamente le mani, angosciato da un presentimento magico di disgrazia che può avvenire se si cerca di scacciare l’ossessione.
  • La dipendenza implica un perdita dell’autocontrollo, mentre nella compulsione la capacità decisionale è assente dal principio, il soggetto si sente come sottomesso da un dominio alieno.

 

Alcuni stuidiosi, come Blaszczynski, sostengono che i giocatori d’azzardo patologici presentano tratti compulsivi ed ossessivi, tra cui eccessiva preoccupazione per i pensieri intrusivi e difficoltà nel prendere semplici decisioni. Nonostante cio’ da alcuni studi risulta evidente come essi presentino maggiori caratteristiche appartenenti alla sfera dell’impulsività, pertanto possono essere meglio inquadrati nella categoria delle dipendenze, piuttosto che in quella dei disturbi compulsivi.

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Nuove dipendenze

Le Nuove Dipendenze: Gioco D’Azzardo, Internet, Shopping

Accanto alle classiche dipendenze da droghe, negli ultimi anni sono proliferate le dipendenze da attività legali; sempre più spesso, infatti, si sente parlare di Technological Addictions e di dipendenze da comportamenti Esse non possono essere inserite sotto la categoria diagnostica dei disturbi da abuso di sostanze, perché ciò che viene abusato non è più una sostanza chimica, ma un comportamento o un’attività, così vengono definite con il generico termine di “Nuove Dipendenze” o “New Addictions”.

Classificazione delle Nuove Forme di Dipendenza

Le forme do Dipendenza possono essere classificate in:

  1. Dipendenze sociali o legali;
  2. Dipendenze antisociali o illegali.

Le prime sarebbero costituite da droghe legali (tabacco, alcol, farmaci, etc.) e da attività socialmente accettate come mangiare, lavorare, fare acquisti, giocare, guardare la televisione, etc.

Il secondo sottotipo comprenderebbe invece le dipendenze da droghe ed attività illegali, per esempio oppiacei, cocaina, oppure rubare, incendiare, stuprare, etc.

Nella prima categoria, le nuove forme di dipendenza senza droga sono agevolate dall’innovazione tecnologica e dalla nuova civiltà che, da una parte genera stress, vuoto e noia, e dall’altra stimola la tendenza all’immediata gratificazione, fornendo sempre gli strumenti appropriati.

E’ interessante, a questo punto, riportare la distinzione che, nella lingua inglese, intercorre tra i termini dependence e addiction: il primo indica la dipendenza fisica e chimica, il secondo indica, invece, come ogni aspetto della vita del soggetto venga invalidato dalla dipendenza. La comparsa di relazioni di dipendenza anche nei confronti di attività e non solo di sostanze chimiche, dimostra che si può sviluppare un’addiction senza dependence. Si può avere una modalità relazionale di tipo dipendente con un qualsiasi oggetto, senza che esso necessariamente agisca sull’organismo dal punto di vista chimico. D’altra parte si può anche avere dipendenza fisica in assenza di addiction: pensiamo a come la dipendenza dalla nicotina difficilmente porti ad azioni illegali o comportamenti antisociali (Shaffer, 1996).

Le Forme di Dipendenza comportamentali:  cibo, sesso, relazioni affettive, lavoro, shopping, Internet e gioco d’azzardo

Tra le dipendenze comportamentali possiamo annoverare quella dal cibo, dal sesso, delle relazioni affettive, dal lavoro, dallo shopping, da Internet e dal gioco d’azzardo. Quest’ultima è l’unica ad aver conquistato lo status, per la comunità scientifica, un disturbo psichiatrico vero e proprio. La dipendenza da Internet, al pari delle altre, non gode di questo riconoscimento, ma la letteratura scientifica su tale argomento è in fase di grande sviluppo. L’Internet Addiction ed il Pathological Gambling (Gioco d’Azzardo Patologico) verranno trattati approfonditamente.

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Il Concetto di Dipendenza: La complessità del termine

La dipendenza è un fenomeno estremamente complesso, che racchiude una molteplicità di aspetti, riguardanti il comportamento dell’individuo, i vissuti, i significati psicologici e le conseguenze che derivano da tale esperienza. Per questo motivo il concetto di dipendenza può essere definito secondo svariati punti di vista, ed una definizione che tenga conto di un solo aspetto di questo fenomeno, che investe invece l’individuo a vari livelli e nella totalità del suo funzionamento, non risulta esaustiva ed impedisce l’interpretazione di una tale complessità.

E’ pertanto riduttivo cercare di comprendere il fenomeno della tossicodipendenza appellandosi alle caratteristiche della sostanza che si assume, oppure rintracciando nella personalità del soggetto i tratti che giustifichino la tendenza a sviluppare la dipendenza stessa.

Sembra invece più utile puntare l’attenzione sulla relazione che si instaura tra il soggetto e l’oggetto, un processo unico, particolare e carico di significati. Non è quindi il tipo di droga o di attività a causare la dipendenza, ma l’interazione tra soggetto, oggetto e contesto.

Bateson ha fornito un’inquadratura concettuale molto interessante per spiegare la complessità dei sistemi umani, che non seguono affatto una struttura monocausale lineare. Ciò che deriva in seguito ad un evento retroagisce, secondo l’autore, sulle cause, andando a ristrutturare il vissuto e la percezione di sé. Non sono quindi le cause a provocare il comportamento, ma è l’esito del comportamento stesso che, creando un particolare significato, ne faciliterà o meno la reiterazione.

Raccogliendo i presupposti sistemici di Bateson, Rigliano formula una definizione della dipendenza molto densa di significato: “La dipendenza è ciò che risulta dall’incrocio tra il potere che la sostanza ha in potenza e il potere che quella persona è disposta ad attribuire alla sostanza”. Il soggetto, portatore di una serie di caratteristiche e di bisogni, incontrando l’oggetto della dipendenza che può essere una sostanza, un comportamento o una relazione, vive un’esperienza particolare data dalla ristrutturazione che il sé subisce a seguito di questo incontro. L’interpretazione di questo vissuto pone le basi per il suo ripetersi. Shaffer (1996) sostiene, infatti, che il fulcro della dipendenza è l’esperienza soggettiva, il modo in cui l’oggetto cambia la condizione dell’individuo.

La dipendenza non è un “vizio”, né una malattia, ma è un processo che si innesca quando una persona, nel contatto con un particolare oggetto si sperimenta in maniera diversa e legge questa ristrutturazione del sé come positiva e più funzionale. E’ “la convinzione individuale, in seguito ad un’esperienza soggettivamente interpretata, di avere trovato in un posto e solo in quel posto la risposta fondamentale a propri bisogni e desideri essenziali: che non è possibile soddisfare altrimenti”.

Il rapporto tra individuo ed oggetto diviene esclusivo, perché solo quell’oggetto fornisce una risposta esaustiva ai bisogni di cui quell’individuo è portatore.

Secondo quest’ottica, dunque, la dipendenza non ha una o più cause, ma si costruisce in una circolarità di bisogni e significati, che restringono il campo delle scelte possibili ad un’unica opzione, quella del contatto con l’oggetto.

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Nuove dipendenze

Le Nuove Forme di Dipendenza: shopping, gioco d’azzardo, Utilizzo di Internet

Le nuove forme di dipendenza, cosiddette “New Addictions” dalla letteratura internazionale, sono delle dipendenze in cui non è implicato il coinvolgimento di una sostanza chimica, ma di una o più attività lecite e socialmente riconosciute come lo shopping, il gioco d’azzardo, l’utilizzo di Internet, il lavoro, il sesso, le relazioni sentimentali.

Gioco d'azzardo
Gioco d’azzardo

Tutti questi comportamenti, seppur considerati normali abitudini della vita quotidiana, possono diventare, per alcuni individui, delle vere e proprie dipendenze, che sconvolgono ed invalidano l’esistenza del soggetto stesso e del suo sistema di relazioni. Le dipendenze comportamentali, infatti, si manifestano nell’urgente bisogno di dover praticare un’attività, nella consapevolezza che a lungo andare condurrà all’autodistruzione.

Shopping Nuova Forma di Dipendenza
Shopping Nuova Forma di Dipendenza

Perciò, anche se non vi è assunzione di sostanze chimiche, il quadro fenomenologico è molto simile a quello della tossicodipendenza e dell’alcolismo. Spesso le “New Addictions” si combinano tra loro, o si accompagnano alle dipendenze da sostanze; molto frequente è, per esempio, l’associazione di Gioco d’Azzardo Patologico e Dipendenza dall’Alcol. Si riscontrano, inoltre, passaggi da una dipendenza ad un’altra, la quale diventa sostitutiva di quella precedente. Per esempio, un soggetto che riesce ad uscire dalla tossicodipendenza, cessando l’uso delle droghe, ma che sviluppa un’incontrollabile bisogno di giocare d’azzardo, non è realmente guarito, ma ha solamente spostato sul comportamento di gioco l’oggetto della propria dipendenza.

Nuove forme di dipendenza Internet
Dipendenza da Internet

Nei successivi articoli, verra’ spiegato il concetto di dipendenza e di “New Addictions”.

Sarà fatto un accenno alla Dipendenza dagli Acquisti: in una società moderna che incita al consumo e valorizza questo tipo di comportamento, le “consumopatie” stanno aumentando in maniera preoccupante.

Di seguito verranno approfondite la Dipendenza da Internet ed il Gioco d’Azzardo Patologico. Entrambe queste due dipendenze hanno, di recente, catturato l’attenzione sia della letteratura scientifica, sia dei media, in maniera decisamente più massiccia rispetto alle altre nuove forme di dipendenza.

Trattando questi fenomeni riusciremo a svelare e comprendere alcuni aspetti di una realtà così vicina, eppure così nascosta ed invisibile.

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Droghe e Sostanze Stupefacenti: La tossicodipendenza

Le persone sperimentano le droge e le sostanze stupefacenti per molte e diverse ragioni. Molti provano le droghe per curiosità, per avere delle sensazioni diverse, perché magari gli amici le stanno provando, o magari durante una attivita’ sportiva per migliorare le prestazioni atletiche. O ancora per facilitare e rendere lieve un problema, come lo stress, l’ansia o la depressione.

Sostanze Stupefacenti
Sostanze Stupefacenti

L’uso delle droghe non porta automaticamente ad un abuso di esse, e non esiste un livello specifico in cui il consumo di droga si sposta dal casual al problematico o alla dipendenza. Esso varia da individuo a individuo.

Il vero problema dell’abuso delle droga e della dipendenza non è tanto la quantità o la frequenza con cui una certa droga o sostanza viene consumata, ma ha a che fare con le conseguenze del consumo e abuso di sostanze stupefacenti.

Non importa quante volte o quanto poco si sta consumando: se il consumo di droghe sta causando problemi nella vostra vita (a lavoro, a scuola, a casa) o nei vostri rapporti, probabilmente hai un abuso di droga o un problema di dipendenza.

La dipendenza da sostanze stupefacenti: cominciamo a conoscerla

Molte persone non capiscono perché o come altre persone diventano dipendenti da droghe. Si da spesso, ed erroneamente, per scontato che i tossicodipendenti non hanno principi morali o forza di volontà e che avrebbero potuto smettere di usare droghe semplicemente scegliendo di cambiare il loro comportamento. In realtà, la tossicodipendenza è una malattia complessa. Ad esempio, anche il solo smettere di fumare richiede più di buone intenzioni o di una forte volontà.

Se siete preoccupati per il vostro uso di droghe o per l’uso che ne fa un vostro amico o familiare, è importante che ci sia l’aiuto e il supporto da parte di qualcuno.

Imparare a conoscere la natura della droga e della tossicodipendenza, come si sviluppa, ciò che sembra e perché può avere un potere distruttivo sul corpo e la vita di una persona, vi aiuterà ad avere una migliore comprensione del problema delle dipendenze e come trattarlo.

Che cosa è la dipendenza da sostanze stupefacenti o tossicodipendenza?

Dipendente da Droghe: effetti sul corpo
Dipendente da Droghe: effetti sul corpo

La tossicodipendenza è una malattia cronica del cervello che causa una compulsiva ricerca di una sostanza stupefacente e un uso di essa, con conseguenza dannose inimmaginabili per l’individuo dipendente e per coloro che gli stanno accanto.

Anche se la decisione iniziale di assumere sostanze stupefacenti è, nella maggior parte dei casi, volontaria, i cambiamenti che si verificano nel cervello nel corso del tempo, modifivano l’autocontrollo e ostacolano la sua capacità di resistere agli impulsi intensi di prendere sostanze stupefacenti.

Simile ad altre malattie croniche e recidive, come il diabete, l’asma, o malattie cardiache, la tossicodipendenza puo’ essere gestita con successo. Allo stesso modo di altre malattie croniche comunque, non è raro, per una persona tossicodipendente, ricadere e riniziare ad abusare di droghe e sostanze stupefacenti. La ricaduta, tuttavia, non signiifica “fallimento”, ma indica piuttosto che il trattamento dovrebbe essere reintegrato, migliorato o cambiato con un trattamento alternativo.

Cosa succede al cervello quando si prende una sostanza stupefacente?

Dopamina comanda le percezioni del nostro cervello
La dopamina regola le percezioni del cervello

Le droghe e le sostanze stupefacenti sono sostanze che alterano il modo in cui le cellule del norstro cervello inviano, ricevevono ed elaborare le informazioni. Ci sono almeno due modi in cui le droghe causano questa alterazione:

  1. imitando in modo alterato i “messaggeri chimici” naturali che viaggiano nel nostro cervello;
  2. stimolando eccessivamente il “circuito di ricompensa”, ossia la sensazione di piacere che proviamo.

Alcune droghe e sostanze stupefacenti, come marijuana ed eroina, hanno una struttura simile ai naturali “messaggeri chimici”, chiamati neurotrasmettitori,  che viaggiano nel nostro corpo. Questa somiglianza permette alle droghe di “ingannare” i recettori del cervello e di attivare le cellule nervose per inviare messaggi anomali.

Altre droghe, come la cocaina o metanfetamina, possono sollecitare le cellule nervose al rilascio anomalo di grandi quantità di neurotrasmettitori naturali che produce un messaggio fortemente amplificato e distorto per il nostro cervello.

Ad ogni modo, quasi tutte le sostanze stupefacenti, direttamente o indirettamente, alterano il sistema di ricompensa del cervello inondando il circuito con la dopamina. La dopamina è un neurotrasmettitore presente nelle regioni del cervello che controllano il movimento, l’emozione, la motivazione, e le sensazioni di piacere. La sovrastimolazione di questo sistema produce effetti euforici. Questa reazione mette in moto un sistema che “insegna” alle persone a ripetere il comportamento e a cadere, spesso, nell’abuso delle sostanze stupefacenti.

La Dopamina in Chimica
La Dopamina in Chimica

Quando una persona continua ad abusare di sostazne stupefacenti, il cervello si adatta ai picchi di dopamina provocati dall’utilizzo delle droghe picchi e, in sintesi e in poche parole,  produce meno dopamina naturale. In una situazione del genere, la persona che abusa di sostanze stupefacenti, deve continuare ad abusare delle droghe per portare il suo livello di dopamina al livello normale e naturale che sarebbe presente nel suo cervello nel caso in cui non assumesse sostanze stupefacenti.

A lungo termine l’abuso di sostanze stupefacenti provoca cambiamenti anche in altri sistemi del cercello che sono fondamentali per il giudizio, il processo decisionale, l’apprendimento e la memoria, e per il controllo del comportamento.

Tutto cio’ porta la persona dipendente da sostanze stupefacenti a prendere tali sostanze compulsivamente e a essere sempre sempre piu’ dipendenti.

In sintesi:

  1. Le droghe sostituiscono e / o alterano, nel cervello, sostanze prodotte dal corpo in modo naturale.
  2. La sostituzione e / o l’alterazione di tali sostanze naturali comprometteno il funzionamento del cervello creando sensazioni illusorie di piacere.
  3. Avere ed assumere la droga diventa così, per una persona dipendene, l’obiettivo più importante al mondo.
  4. Col tempo il cervello funziona in condizioni sempre più alterate, finché il corpo stesso accusa il colpo.
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La guida sotto l’effetto di Alcol: fattore di rischio altissimo nella genesi dell’incidente stradale

L’uomo convive con l’alcol da oltre 6000 anni, esso ha lasciato molte tracce sia nell’arte, nella letteratura e nella cultura popolare ed ha avuto diversi significati a seconda del periodo considerato.

L’alcol ha rappresentato e rappresenta nelle diverse società, non solo una bevanda come le altre, non solo una componente dell’alimentazione, ma anche un elemento naturale “carico” di valenze simboliche, un mezzo di socializzazione e di comunicazione, uno strumento di estraniazione e fonte di problemi sociali. Purtroppo l’abuso di questo ha un’incidenza negativa causando patologie alcolcorrelate, incidenti stradali, rendendo difficili i rapporti sociali soprattutto nell’ambito familiare.

La ricerca sociale in materia di alcol ha tradizioni diverse a seconda dei Paesi, nel Nord-Europa è più sviluppata, mentre in Italia è ancora predominante l’approccio medico e l’interesse per le conseguenze psico-fisiche. Quindi in Italia è poco sviluppato l’interesse del bere come processo sociale simbolico. Ecco perché le scienze sociali possono apportare e contribuire ad una comprensione di questo fenomeno.

La distinzione tra le cosi dette culture “bagnate”, in larga misura rappresentate dai paesi che si affacciano al bacino Mediterraneo, e le culture cosi dette “asciutte” che caratterizzano in prevalenza i paesi anglosassoni, abbiano perso di incisività.

Oggigiorno, i processi di internazionalizzazione dei modelli del bere (in termini di valori d’uso,sostanze, contesti e modalità di consumo) hanno ridotto la distanza tra i due stili di consumo alcolico sottesi a questa distinzione. Sembra cioè meno facile di un tempo contrapporre al modello del gioioso consumatore latino, che esalta le valenze celebrative e socializzanti del vino in condivisione con gli altri, lo stereotipo del depresso bevitore scandinavo, che annega le sue tristezze in un bicchiere di birra o superalcolico.

La riduzione della distanza tra i due modelli ha segnato soprattutto le culture bagnate e in particolare per quel che riguarda l’Italia, quella giovanile, nel senso che i consumi si sono indirizzati verso le bevande nord-europee (birra e superalcolici) a discapito del vino.

Le indagini che ho fatto giungono a conclusione che in Italia soprattutto i giovani nella fascia di età compresa tra 14-30 anni fanno uso e abuso di sostanze alcoliche e si è notato che nel sesso femminile sta aumentando sempre di più il consumo.

Oggi possiamo notare che i ragazzi dispongono sempre di più dell’automobile e del motorino e alla luce delle statistiche e avvenimenti attuali, la guida sotto l’effetto di alcol rappresenta un fattore di rischio più potente nella genesi dell’incidente stradale grave o mortale.

Proprio per questo motivo, data l’alta prevalenza del consumo di bevande alcoliche soprattutto in età giovanile, è importante attuare campagne di prevenzione sull’educazione e salute alle problematiche alcologiche.

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Alcol e Alcolismo Dipendenze da Sostanze Stupefacenti

Guidare sotto l’effetto dell’Alcol

Effetti dell’alcol sulla guida

Gli effetti dell’alcol sulla guida sono ben noti. Esso agisce su diverse funzioni cerebrali (percezione, attenzione, elaborazione, valutazione ecc.), con effetti diversi e strettamente correlati alla quantità di alcol presente nel sangue, cioè al tasso alcolemico.

L’alcolemia è la concentrazione di alcol nel sangue che si esprime con il numero di milligrammi presenti in 100 millilitri di sangue. Tale valore è importante perché in relazione al suo aumento corrisponde un decremento proporzionale dell’efficienza psicofisica anche a livelli minimi di assunzione di bevande alcoliche.

Il limite legale per guidare è 50 milligrammi di alcol in 100 millilitri di sangue (0,5 gr. per litro di sangue). Non esistono argomentazioni certe per affermare quanto si può bere per superare questo limite. Varia da persona a persona e dipende dal peso, sesso, età, dal fatto di aver mangiato e da cosa si è bevuto. Alcuni individui raggiungono questo limite dopo  2 bicchieri di vino o 2 bicchieri di superalcolici.

In realtà l’abilità alla guida é influenzata anche solo da uno o due bicchieri di vino.

Effetti dell’alcol a livelli crescenti di alcolemie

    ALCOLEMIA ( mg./100 ml.)
 

Crescente tendenza a guidare in modo rischioso, riflessi leggermente disturbati

 20
La manovra dei freni diventa più brusca.  30
L’elaborazione mentale delle percezioni sensoriali è ridotta.  40

LIMITE    LEGALE

 50
Si possono commettere errori di guida abbastanza gravi.  60
Forte prolungamento dei tempi di reazione.  70
Deterioramento delle reazioni motorie e perdita delle capacità di precisione.  80
Diminuisce la capacità di adattamento all’oscurità; la valutazione degli ingombri stradali, della posizione del veicolo, della velocità e dei movimenti di guida è fortemente compromessa.  90
Il livello della capacità visiva e di attenzione, dei tempi di reazione si riduce ulteriormente, lo stato di ebbrezza è chiaramente visibile.  100

La guida sotto gli effetti di alcolici risulta condizionata da una minore prontezza di riflessi, minore capacità di fronteggiare gli ostacoli e maggiore sonnolenza.

Gia con mezzo bicchiere di vino si ha la tendenza a guidare in modo più rischioso rispetto a chi si mantiene sobrio.

Gli effetti dell’assunzione di bevande alcoliche sull’organismo variano da persona a persona a seconda del grado di tolleranza individuale e da una serie di altri fattori tra cui l’assunzione di farmaci, il pasto, il tipo di bevande assunte.

A seconda delle quantità di alcol introdotto si determina:

PROBLEMI VISIVI -l’alcol riduce la capacità visiva, può renderla confusa e può ridurre la visione notturna del 25%. Viene inoltre ridotta la visione laterale, rendendo difficoltosa la vista dei veicoli provenienti da destra o da sinistra (visione a tunnel).

SONNOLENZA -è un effetto dell’alcol anche in piccole dosi che porta ad un crollo dell’attenzione, altera la capacità di concentrazione, rende difficoltosa la coordinazione dei movimenti. E’ inoltre ridotta la capacità di compiere due o più azioni contemporaneamente.

FASE ECCITATORIA- caratterizzata da disinibizione, espansività, senso di euforia, iperattività, ridotto autocontrollo che porta ad affrontare i rischi che non verrebbero mai corsi in situazioni psicofisiche normali.

Con l’aumento dell’ assunzione l’effetto si modifica e si manifesta tristezza, depressione, incapacità del controllo psicomotorio, aggressività e violenza, nausea, vomito, vertigine fino al rischio di un vero e proprio coma etilico, cioè stato di confusione fino ad un sonno profondo, respiro rallentato, muscoli flaccidi, riflessi deboli, collasso e a volte morte per arresto cardiocircolatorio.

 

Alcolemia Effetti
0,25 g/l DISIBINIZIONE ECCITAZIONE La persona appare più espansiva e disinibita: un senso di benessere la rende più euforica e iperattiva. L’autocontrollo tende a diminuire e produce loquacità e riduzione della critica e del giudizio. L’umore cambia spesso tanto da oscillare rapidamente dall’espansività alla tristezza fino all’aggressività. Attenzione, tempi di reazione e memoria sono alterati.
0,50 g/l IMPACCIO MOTORIO INCOERENZA LOGICA Continuando a bere alcol, i movimenti diventano sempre più impacciati e scoordinati, la persona cammina a zig-zag e corre il rischio di inciampare e cadere. In questa fase di solito si è portati a parlare, molto ma il filo logico perde di coerenza. L’attenzione è scarsa e i tempi di reazione sono molto rallentati. Anche la vista e l’udito ne risentono.
Da 1,0 g/l

 

A 2,5 g/l

DISTURBI DELL’EQUILIBRIO E DELLA MARCIA CONFUSIONE MENTALE TORPORE Continuare a bere diventa pericoloso. Se si assumono ulteriori quantità di alcol possono comparire nausea, vomito e vertigini, la visione è alterata, mentre risultano accelerati il battito del cuore e la frequenza del respiro. La persona appare rossa, accaldata, sudata, ansimante.
4,0 g/l COMA Si corre il rischio, infine, di cadere in un sonno profondo che può arrivare fino al coma.

In quanto tempo cessano gli effetti dell’alcol?

“Quando ingeriamo una bevanda alcolica, l’alcol entra rapidamente nel sangue aumentando il livello di alcolemia e si riscontra:

  1. una fase in cui l’alcolemia cresce, fino ad un massimo di mezz’ora dopo, se l’ingestione è stata a digiuno ; ¾ d’ora – 1 ora dopo se fatta in corso di un pasto.

Se la bevanda alcolica è assunta nel corso di un pasto, l’alcolemia raggiunge livelli inferiori di circa 1/3  rispetto ad un’assunzione a digiuno. Gli alimenti grassi e gli zuccheri ritardano l’innalzamento dell’alcolemia. Se è stato ingerito dell’alcol, quando la dose precedente non è ancora stata eliminata, si ha un’accumulo.

Nel corso della giornata si verificano situazioni in cui sono presenti bevande alcoliche: uno spuntino, la pausa per il pranzo, ricevimenti, riunioni di lavoro ecc.

  1. una fase in cui l’alcolemia decresce. Il tempo di eliminazione dell’alcol è in funzione della quantità ingerita. Questa eliminazione è suscettibile di forti variazioni individuali, ma contrariamente a quanto si pensa né il freddo, né lo sforzo fisico, né il caffè o una doccia fredda la accelerano. Chi svolge lavori pesanti non elimina più in fretta l’alcol rispetto ai lavoratori d’ufficio o sedentari.

Chi guida dovrebbe aspettare almeno questo numero di ore prima di mettersi al volante.

Come si rileval’alcol nel nostro corpo?

L’alcolemia si rivela attraverso l’esame del sangue o attraverso l’alcol test. Esiste infatti un rapporto diretto ha l’alcol presente nel sangue e quello dell’aria espirata.

In Italia viene utilizzato l’etilometro.

L’etilometro è uno strumento portabile per la misura rapida ed affidabile della concentrazione alcolica nel respiro e nel sangue. La rilevazione del tasso alcolemico viene effettuata sull’aria espirata dai soggetti in appositi boccagli monouso, collegati all’apparecchio.

L’esecuzione di un test inizia chiedendo alla persona quanto tempo è trascorso dall’ultima assunzione di sostanze per bocca o fumo o equivalente, dato che alcune sostanze anche “non alcoliche” possono influenzare il risultato della misurazione. E’ necessario assicurarsi che i soggetti esaminati non abbiano assunto nulla negli ultimi 20 minuti. Attendere, inoltre, almeno due minuti se il soggetto da esaminare ha appena finito di fumare. Anche l’assunzione di acqua prima del test può alterare la prova, poiché tale sostanza raffredda la bocca e diluisce la saliva, riducendo temporaneamente la quantità di alcol nel respiro e quindi della misura.

Si prende un boccaglio nuovo e si inserisce nell’apposito alloggiamento dell’alcolimetro. Il soggetto, dopo una profonda inspirazione, deve soffiare attraverso l’imboccatura del boccaglio con forza sufficiente. L’espirazione deve essere continua (e non dovrà essere interrotta) finché si ha il segnale dell’avvenuto campionamento. Se il soggetto smette di soffiare prima del segnale, non si otterrà il prelevamento del campione da esaminare e quindi dovrà ripetere l’esame.

Una volta prelevato il campione, lo strumento impiega circa 20-30 sec. per generare il segnale necessario alla determinazione del contenuto di alcol. Sul display compariranno i valori della concentrazione ottenuta. Il valore che compare sul display rappresenta la concentrazione di alcol nel sangue (o nel respiro) di un determinato soggetto in un momento preciso. Se vengono effettuati due campionamenti successivi sulla stessa persona, a seconda dell’intervallo di tempo intercorrente tra le due misurazioni, la lettura potrebbe essere più alta o più bassa, a seconda che il soggetto si trovi in fase crescente o decrescente rispetto la concentrazione di alcol.

Inoltre la modalità nella quale il soggetto effettua l’esame, può influire sul risultato anche se lo strumento è stato disegnato appositamente per minimizzare tali errori.