Il DSM IV (American Psychiatric Association, 1994) indica con il termine tratti di personalità, modalità costanti di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell’ambiente e di sé stessi, che si manifestano in un ampio spettro di contesti sociali e personali. I disturbi di personalità sono classificati nell’asse II del DSM. La scelta di collocare questi disturbi su un’asse indipendente è finalizzata a far sì che i clinici, nel formulare la diagnosi, prestino attenzione all’eventuale presenza di questi disturbi che altrimenti non sarebbero riconosciuti, poiché spesso si presentano in corrispondenza di disturbi dell’asse I, plasmandoli in diversi modi (Millon, 1996).
Nel DSM IV i disturbi di personalità sono classificati in tre gruppi:
- Gruppo A: Disturbi Paranoide, Schizoide, Schizotipico. In questo gruppo rientrano individui che appaiono strani ed eccentrici;
- Gruppo B: Disturbi Antisociale, Borderline, Istrionico e Narcisistico. In questo gruppo rientrano individui che appaiono amplificativi, emotivi e imprevedibili;
- Gruppo C: Disturbi Evitante, Dipendente e Ossessivo-Compulsivo. In questo gruppo rientrano individui che appaiono ansiosi e timorosi.
Fossi e Pallanti (1998) descrivono il BPD come un quadro in cui, l’instabilità affettiva, i disturbi dell’umore, del comportamento, delle relazioni e dell’immagine di sé, sono di una gravità tale da rendere difficile la differenziazione dalle psicosi.
Il disturbo viene anche chiamato schizofrenia ambulatoriale, schizofrenia pseudonevrotica, personalità psicotica.
Altre volte è difficile differenziare questa condizione dalla nevrosi, da questo nasce la sua denominazione stato limite.
Adolph Stern (1938) è stato il primo a coniare il termine “borderline”, partendo da osservazioni cliniche di pazienti che presentavano caratteristiche terapeutiche non assimilabili alle categorie diagnostiche allora in uso e che non rispondevano ai tradizionali trattamenti psicoterapeutici.
Nel 1953, con Robert Knight, il termine “borderline” comincia ad identificare una categoria diagnostica, caratterizzata da fragilità dell’Io e marcata difficoltà a gestire gli impulsi. L’autore notò che, in alcuni casi, dietro un apparente funzionamento dell’Io, generalmente nevrotico, si trovava una forte regressione e debolezza strutturale, che non potevano però neanche essere ricondotte ad un quadro psicotico. Successivi lavori condotti da Gunderson e Singer (1975) andarono a verificare empiricamente le ricerche sino ad allora condotte, questi arrivarono anche alla costruzione di uno strumento: Intervista Diagnostica per i Borderline. Kernberg (1975) identificò invece il concetto di “organizzazione borderline di personalità”, le cui caratteristiche principali erano debolezza dell’Io, meccanismi di difesa primitivi, relazioni oggettuali conflittuali e diffusione dell’identità.
Successivamente il crescente interesse per il tema diede il via ad una serie di ricerche che portarono all’inserimento di questo disturbo nel DSM III (American Psychiatric Association, 1980).
La definizione del DSM III può essere riconducibile a diverse fonti, ad esempio Gunderson, Kolb e Austin (1981), dopo un’attenta analisi della letteratura, proposero una serie di criteri diagnostici, simili a quelli che comparvero nel manuale.
I criteri diagnostici per il BPD furono determinati mediante una ricerca condotta da Spitzer, Endicott e Gibbon (1979). Questi studiosi identificarono il disturbo schizotipico di personalità come un insieme di tratti collegati alla schizofrenia, oltre a questo identificarono anche un altro quadro sintomatico, non connesso alla schizofrenia, che nel DSM III venne indicato come BPD.
Nella definizione del DSM IV, sono stati introdotti anche episodi dissociativi e di ideazione paranoide, che si presentano soprattutto in situazioni di stress (Caviglia, Iuliano & Perella, 2007).
Il DSM IV richiede per la diagnosi del disturbo, all’interno di caratteristiche pervasive di instabilità nelle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé, degli affetti e del controllo degli impulsi, almeno cinque delle seguenti manifestazioni:
- Sforzi per evitare l’abbandono reale o immaginario;
- Relazioni interpersonali intense e instabili con alternanza tra gli estremi di idealizzazione e svalutazione;
- Disturbi dell’identità marcati e persistenti;
- Impulsività in almeno due aree potenzialmente pericolose (abbuffate compulsive, promiscuità sessuale senza attenzione a rischi di infezioni o gravidanze indesiderate, cleptomania, abuso di alcol e droghe);
- Ricorrenti minacce di suicidio e comportamenti automutilanti;
- Instabilità affettiva con marcata reattività dell’umore;
- Sentimenti cronici di vuoto;
- Rabbia intensa e mancanza di controllo su di essa;
- Sintomi dissociativi o ideazione paranoie, transitori e collegati con lo stress.
La diagnosi del disturbo interessa dall’1 al 2% della popolazione generale, il 10% dei pazienti ambulatoriali, il 20% dei pazienti ospedalizzati e dal 30-60% delle persone con diagnosi di disturbo di personalità, si assiste inoltre ad una netta prevalenza delle donne rispetto agli uomini, quasi il doppio. Il disturbo tende infine a rendersi evidente nella prima età adulta e successivamente ad attenuarsi o stabilizzarsi con l’età (American Psychiatric Association, 2001; Baranello, 2003; Beers & Berkow, 1999; Davison & Neale, 2004; Fossi & Pallanti, 1998; Lieb, Zanarini, Schmahl, Linehan & Bohus, 2004; Torgersen, Kringlen & Cramer, 2001; Widiger & Weissman, 1991).
Come gli altri disturbi di personalità esso è egosintonico, ovvero la persona non riconosce i sintomi come parte di una patologia, ma semplicemente come uno stato di esistenza. Questo non permette ai pazienti di chiedere aiuto e quando lo fanno, è per problematiche contingenti: sintomi specifici, problemi relazionali, affettivi, scolastici o lavorativi (Baranello, 2003, 2004; Caviglia et a 2007). Da un punto di vista clinico si trovano molte anomalie in diverse aree del funzionamento psicologico e il comportamento si caratterizza per l’imprevedibilità. Il disturbo è caratterizzato infatti da un elevato tasso di suicidio, il 10% dei pazienti, circa cinquanta volte il tasso riscontrato nella popolazione generale. Il rischio di suicidio sembra maggiore nei primi venti anni, in particolare quando si presentano in associazione disturbi dell’umore o abuso di sostanze (American Psychiatric Association, 2001; Pompili, Ruberto, Girardi, Tatarelli, 2004; Soloff, Lynch, Kelly, Malone & Mann, 2000).
I pazienti sembrano continuamente in crisi: hanno una difettosa immagine di sé, sono pieni di incertezze sulla propria identità, si lamentano di sentimento di vuoto e noia (Caviglia et al., 2007; Fossi & Pallanti, 1998). Sono frequenti episodi psicotici di breve durata, la loro emotività molto spesso è inadeguata e l’umore presenta frequenti oscillazioni, si lamenta infine una incapacità di provare sentimenti (Beers & Berkow, 1999; Correale, Alonzi, Carnevali, Di Giuseppe & Giacchetti, 2001; Fossi & Pallanti, 1998).
Per quanto riguarda le relazioni interpersonali, specialmente quando è importante l’investimento affettivo, sono molto tempestose, queste persone tendono a cambiare facilmente da un rapporto a un altro, da un gruppo a un altro.
Questo tipo di relazione con l’oggetto sembra proporsi nel BPD con una certa regolarità, in alti termini il soggetto si sente insicuro e minacciato ogni volta che vive un eccessivo avvicinamento all’oggetto desiderato, nonostante ciò non può restare da solo, questo lo porta alla ricerca spasmodica di compagnia e ad essere profondamente dipendente dalle persone che gli stanno vicino.
La precedente modalità relazionale si accompagna dunque ad un’altra di segno opposto, in base alla quale l’oggetto viene investito di fantasie ideali e aspettative irrealistiche (Beers & Berkow, 1999; Correale et al., 2001; Davison & Neale, 2004; Fossi & Pallanti, 2004; Kernberg, 1975).
Questa modalità di attaccamento è ben nota a chi prende questi pazienti in terapia; questi sperimentano quasi immediatamente nel transfert sentimenti di intensa affettività, con violenta e drammatica reattività alle separazioni e intolleranza agli intervalli di separazione. La conseguenza di questo è un transfert caotico, formato da un succedersi di avvicinamenti e allontanamenti, che tende a confondere tanto il soggetto quanto il terapeuta (Correale et al., 2001).
La diagnosi differenziale può porsi con un gran numero di condizioni, ma di maggiore importanza è quella nei riguardi della schizofrenia, della personalità schizoide, paranoie, istrionica, antisociale e narcisistica (Fossi & Pallanti, 1998; Morey, 1988).